Marsiglia – Andreas Lubitz era malato. Stava male. Al punto che martedì scorso 24 marzo 2015, quando si è chiuso nella cabina di pilotaggio dell’Airbus Germanwings che ha portato volontariamente a schiantarsi contro le Alpi francesi, non doveva e non poteva volare.
Il co-pilota 28enne della compagnia di volo tedesca, branca low cost della Lufthansa infatti proprio per quel maledetto giorno era in congedo per malattia, ma aveva nascosto a colleghi e datori di lavoro la sua condizione. E’ quanto reso noto dalla procura tedesca, all’indomani della perquisizioni nelle due case del giovane: l’elegante abitazione dei genitori a Montabaur, cittadina a nord di Francoforte, e il suo nuovo loft all’ultimo piano di una palazzina a Düsseldorf, dove pare vivesse con la fidanzata che lo ha lasciato proprio pochi giorni prima della tragedia.
E’ qui che gli inquirenti hanno trovato nel bidone della spazzatura “stracciati alcuni certificati di malattia molto recenti che dicono che non doveva lavorare, anche lo stesso giorno dell’incidente”. Ma in entrambe le case sono stati trovati anche documenti che dimostrano senza più ombra di dubbio che il giovane era attualmente in terapia, mentre non è stato rinvenuto alcun biglietto di addio “nè indizi che facciano pensare a motivazioni politico-religiose”.
E a proposito del tipo di malattia di cui soffriva Lubitz, l’ospedale universitario di Dusseldorf ha reso noto che il co-pilota tedesco era stato visitato a febbraio e a marzo, precisamente il 10 del corrente mese ha effettuato l’ultima visita, per “accertamenti diagnostici”. Ma la struttura ha smentito che il 29enne fosse lì in cura per depressione. Anche se, comunque, il co-pilota kamikaze era malato, ed era comunque in cura per qualcosa anche nel periodo attuale.
Intanto dal passato e dalla vita personale di Andreas Lubitz continuano ad emergere dettagli che delineano una personalità molto complessa, e quindi forse poco adatta al tipo di mestiere che praticava, che necessita di perfetta salute sia fisica che mentale. Già si sapeva, infatti, che 6 anni fa, nel 2009, Lubitz aveva avuto “un grave episodio depressivo”, grave al punto che era stato mesi in terapia psichiatrica prima di completare la sua formazione da pilota. Poi però, dopo 1 anno, Andreas era rientrato, aveva superato i test ed aveva ripreso l’addestramento, diplomandosi poi pilota col massimo dei voti. L’episodio era rimasto agli atti, nella documentazione relativa al giovane, in mano al dipartimento del traffico aereo tedesco sotto il codice ‘SIC’, che indica la necessità che l’interessato sia sottoposto a “controlli medici regolari”.
I procuratori di Dusseldorf non hanno chiarito che tipo di problemi impedissero al giovane di lavorare, nè tantomeno hanno fatto alcun riferimento a una possibile malattia mentale.
Eppure dalle notizie raccolte dalla stampa tedesca, emerge sempre più la figura di un giovane amabile, con una passione quasi maniacale per il volo, tanto che la sua casa era tappezzata di foto di aerei e materiale Lufthansa, ed una storia di depressione, in terapia psicologica; uno stato forse peggiorato, secondo notizie non confermate, dalla rottura del legame con la sua fidanzata, la compagna di sette anni con cui avrebbe dovuto sposarsi il prossimo anno, e che lo aveva invece appena lasciato.
Per quanto riguarda invece il resto della stampa mondiale, e soprattutto l’opinione pubblica, al di fuori della Germania i tratti con cui viene dipinto Andreas Lubitz sono ben diversi: in molti infatti non comprendono come si possa chiamare suicidio l’omicidio volontario di 149 persone innocenti, che il co-pilota ha voluto lucidamente uccidere per trascinarle con sé nel suo folle piano di morte.