Roma – Per l’Inps erano disoccupati in cassa integrazione ma per la guardia di finanza lavoravano per compagnie aeree estrere incassando lauti guadagni che non erano neppure dichiarati.
Sono già 36 ma potrebbero diventare molti di più i piloti d’aereo scoperti dalle fiamme gialle a lavorare per compagnie aeree estere pur ricevendo dall’Inps un corposo trattamento di disoccupazione che poteva arrivare a 11 mila euro al mese.
I piloti, tutti in cassa integrazione per la crisi della loro azienda, lavoravano in realtà per altre compagnie che hanno sede all’estero e omettevano di dichiarare all’istituto di previdenza il nuovo incarico.
In questo modo, secondo le accuse degli inquirenti, avrebbero percepito illeciti guadagni che ora dovranno restituire.
Sino ad oggi la guardia di finanza ha identificato una presunta truffa ai danni dello Stato per oltre 7 milioni di euro ma la cifra potrebbe crescere sensibilmente visto che il numero di piloti coinvolti nelle indagini continua ad aumentare.
A scoprire la presunta truffa l’incrocio dei dati delle compagnie aeree che fanno scalo a Fiumicino e Ciampino con l’elenco dei piloti in cassa integrazione in Italia.
Molte le “coincidenze” e di qui è scattata la verifica.
Dagli accertamenti di Gdf e Inps, che sta continuando a collaborare alle indagini, è emerso che oltre alle indennità –
pari all’80% della retribuzione riferita agli ultimi 12 mesi di lavoro – i piloti ricevevano dalle compagnie straniere un
regolare stipendio mensile oscillante tra i 13 mila e i 15 mila euro, a seconda dell’esperienza maturata e delle abilitazioni possedute. Ma non solo: il contratto con le compagnie prevedeva anche una serie di benefit, come l’alloggio e la retta di iscrizione dei figli a scuola.
L’Inps ha immediatamente sospeso le indennità ai piloti coinvolti nelle indagini e avviato le procedure per il recupero degli importi percepiti indebitamente.
I 36 piloti sono inoltre stati denunciati all’autorità giudiziaria ed alla Corte dei Conti.
Nel corso delle indagini, i finanzieri hanno anche individuato una diffusa evasione alla cosiddetta “imposta sul
lusso”, la tassa introdotta sugli aerotaxi nel 2012 dal decreto Monti.
In sostanza è emerso che le somme pagate dai passeggeri restavano nelle tasche dei vettori che sistematicamente
omettevano di girarle al fisco.
Da una prima ricostruzione, solo sullo scalo di Ciampino, sarebbero una ventina le società che hanno violato gli obblighi di legge, per un importo di circa 1,2 milioni di euro ma le verifiche in atto potrebbero portare a ben altri risultati.