Genova – Resta l’obbligo di indicare nell’etichetta della pasta l’origine del grano usato per produrre le farine. Le sentenze del Tar del Lazio respingono i ricorsi delle industrie e salvano l’etichetta di origine, che obbliga i produttori a indicare sulla confezione della pasta la provenienza nazionale o straniera del grano impiegato, come espressamente richiesto dal 96% dei consumatori.

“Una notizia decisamente positiva – commenta la Coldiretti – di cui siamo soddisfatti”.

La questione aveva visto la luce circa 6 anni fa, quando diverse industrie avevano presentato al Tar ricorsi nei confronti del decreto con cui, a metà 2017, l’allora Mipaaf (Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e forestali) e il Mise (Ministero dello Sviluppo Economico) hanno imposto ai produttori di pasta l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di coltivazione del grano e il Paese di molitura, al fine di garantire un’informazione completa e trasparente ai consumatori, funzionale a consentire una scelta libera e consapevole.

Un provvedimento valido anche quest’anno grazie alla firma apposta al decreto interministeriale che proroga fino al 31 dicembre 2023 i regimi sperimentali dell’indicazione di origine – come fortemente richiesto dalla Coldiretti – dal Ministro dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste, Francesco Lollobrigida, dal Ministro delle Imprese e Made in Italy, Adolfo Urso, e dal Ministro e della Salute, Orazio Schillaci. “Il decreto in questione – continua la Coldiretti – prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia debbano indicare il nome del Paese nel quale il grano viene coltivato e quello di molitura. Una misura che ha spinto tutte le principali industrie agroalimentari a promuovere oggi delle linee produttive con l’utilizzo di cereale interamente prodotto sul territorio nazionale”.

“L’etichettatura di origine obbligatoria dei cibi – spiegano Gianluca Boeri e Bruno Rivarossa, Presidente di Coldiretti Liguria e Delegato Confederale – è una battaglia storica della Coldiretti, introdotta a livello nazionale dal latte alla passata di pomodoro, dai formaggi ai salumi, fino ad arrivare anche a riso e pasta. Una lotta importante, che garantisce trasparenza sulla reale origine su prodotti base della dieta degli italiani, che rappresentano circa tre quarti della spesa dei consumatori”. Purtroppo, però, resta ancora anonima l’origine dei legumi in scatola, della frutta nella marmellata o nei succhi, del grano impiegato nel pane, biscotti o grissini, così come quella della carne e del pesce venduti nei ristoranti. “L’Italia è leader europeo nella qualità agroalimentare – concludono Boeri e Rivarossa – e proprio per questo ha il dovere di fare da apripista nelle politiche alimentari dell’UE, soprattutto oggi, in un momento difficile per l’economia. Noi italiani dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della tracciabilità, allargando l’obbligo di indicare in etichetta l’origine a tutte le diverse tipologie di alimenti. Una battaglia che va incontro alle richieste dei consumatori italiani ed europei e si affianca a quella contro i cibi sintetici, nettamente rifiutati da oltre 8 italiani su 10 (84%)”.