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Una serie di emendamenti al ddl “Diffamazione” per introdurre il carcere per i Giornalisti. Sta suscitando molto clamore la proposta del senatore ligure Gianni Berrino, esponente di Fratelli d’Italia che prevedono sino a 4 anni e mezzo di carcere per i giornalisti che commettono il reato di diffamazione.
L’Associazione Ligure dei Giornalisti, il Gruppo Cronisti Liguri, l’Ussi Liguria e l’ Ordine dei Giornalisti della Liguria si uniscono alla condanna già espressa dalla segretaria della Fnsi Alessandra Costante e dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Bartoli.

“Il senatore Berrino – dicono Matteo Dell’Antico (segretario Associazione Ligure dei Giornalisti), Tommaso Fregatti (presidente Gruppo Cronisti Liguri) e Filippo Paganini (presidente Ordine dei Giornalisti della Liguria) – dovrebbe occuparsi di portare in Parlamento i problemi della Liguria, la regione in cui è nato e dove è stato eletto, invece che presentare disegni di legge che prevedono di mettere le manette ai giornalisti. Quelle di Berrino sono posizioni inaccettabili frutto di pulsioni autoritarie. Non solo: questi emendamenti sono un fatto gravissimo e rappresentano l’ennesimo attacco alla libertà di stampa con l’Italia che scivola sempre più pericolosamente verso Paesi come Russia, Cina, Bielorussia o Iran”.

I Giornalisti che commettono il reato di diffamazione sono già passibili di sanzioni piuttosto pesanti come la condanna al risarcimento del danno. Ovvero, laddove un giudice valuti che un articolo o una dichiarazione di un giornalista si dimostri falsa e calunniosa, l’autore può (e viene) essere condannato a risarcire il diffamato. Cause che possono trasformarsi in richieste danni per milioni di euro e che già sono previste dall’attuale ordinamento.
Nulla a che vedere, però, con la privazione della libertà personale che sarebbe introdotta nel caso di recepimento degli emendamenti proposti.
Una “minaccia” che viene spesso utilizzata nei Paesi meno democratici per limitare la libertà di Stampa.
Già ora i Giornalisti denunciano sempre più spesso l’uso delle cosiddette “querele temerarie” nei loro confronti da parte di chi intende attaccare la libertà dei giornalisti di raccontare fatti, episodi e ricostruzioni che, ovviamente, devono essere veri.