Firenze – Gli smartwatch che registrano il battito cardiaco potrebbero essere usati in futuro per spiare le emozioni dei proprietari e fornire informazioni utili ai colossi della pubblicità.
L’allarme arriva da alcuni ricercatori che segnalano il pericolo che le grandi multinazionali possano avere accesso ai dati degli apparati per ricavarne preziose informazioni sui nostri “gusti” commerciali.
Le molte App dei moderni smartwatch, infatti, utilizzano la geolocalizzazione e misuratori del battito cardiaco che ufficialmente servono a registrare dati sulla nostra vita, il nostro consumo di calorie e sulle nostre attività sportive.
Combinati insieme, però, potrebbero fornire informazioni sulle vetrine che visitiamo e sulle nostre “reazioni” davanti a determinati prodotti.
I ricercatori evidenziano, ad esempio, che tracciando i dati dello smartwatch, un analista potrebbe dire quali vetrine di un centro commerciale hanno attratto di più la nostra attenzione e persino “leggere” il nostro gradimento di fronte ad un determinato prodotto.
Si tratta di informazioni che si rilevano confrontando i dati sui nostri spostamenti (geolocalizzazione) e sul nostro battito cardiaco (rilevazione delle emozioni).
In questo modo sofisticati computer potrebbero associare i dati e tracciare i nostri gusti in materia di abbigliamento, ristoranti e persino palestre o centri ricreativi.
Nel futuro ci potrebbero persino essere sistemi che ci invieranno offerte personalizzate direttamente sullo smartwatch non appena passiamo davanti ad una determinata vetrina.
A rendere ancora meno “fantascientifico” l’allarme il fatto che molte delle App che scarichiamo sui nostri prodotti tecnologici sono gratuite e potrebbero non dichiarare sino in fondo l’uso che viene fatto delle informazioni raccolte.
“Per poter essere legittimati a sfruttare per scopi commerciali le tecniche di determinazione degli stati emozionali degli utenti in base al loro battito cardiaco, gli sviluppatori delle app devono trovare i presupposti giuridici – spiega il presidente di Federprivacy Nicola Bernardi – Uno è quello di fornire l’informativa e di raccogliere validamente il consenso dell’utente. Tuttavia il Garante della Privacy ha recentemente reso noto che solo il 15% di tutte le app in rete informano in modo realmente chiaro come saranno utilizzati i dati personali dell’interessato. Inoltre, quando si scarica una app su uno smartwatch, l’informativa è visualizzata su un display minuscolo e difficile da leggere, e anche il consenso richiesto è spesso vago, per cui è necessario prestare cautela in questi casi perché potremmo inconsapevolmente dare la nostra autorizzazione ad installare una vera e propria spia allacciata al nostro polso”.