Genova – Procedono troppo a rilento e con obiettivi che non potranno essere raggiunti i piani di abbattimento dei cinghiali messi a punto da Regione Liguria per far fronte alla diffusione della Peste Suina nei boschi e nelle campagne della Liguria. Lo denuncia la Confederazione Italiana Agricoltori che sostiene che manchino addirittura 37mila cinghiali abbattuti alla quota prevista di 38mila.

“Non ce la fanno e non ce la faranno i cacciatori – spiegano alla Cia – Non ce la fanno più neppure i cani. Stremati dopo le prime (praticamente inutili) battute di caccia”.

“Dopo i primi due capi abbattuti nella prima giornata a Ponente, le prime notizie ufficiose sulla nuove battute di caccia effettuate in questi giorni anche sugli altri territori liguri, confermano che quel traguardo è irraggiungibile – sottolinea Stefano Roggerone, presidente di Cia Liguria -. Diamo atto della disponibilità dei cacciatori , ma certo è che per ipotizzare in tempi decenti una riduzione della presenza di 38.000 ungulati, servono più interventi, ad esempio utilizzando in maniera diffusa sistemi di cattura che si sono dimostrati efficienti. A questo va affiancata un’organizzazione nella gestione delle carcasse – esami compresi – che al momento, pare ancora in via di definizione.”

La Regione ha recentemente modificato il Regolamento sulla caccia al cinghiale in forma collettiva. Le squadre negli ATC possono essere formate da un minimo di 15 componenti (anziché di 20) e i giorni di caccia a settimana passano da due (mercoledì e domenica) a tre, a scelta delle squadre, per un massimo di 10 giornate stagionali.

“ Sono modifiche inutili. La caccia e i cacciatori non possono essere l’unica soluzione. Si assegna a volontari una responsabilità eccessiva, e testimonia una sottovalutazione della posta in gioco – conclude Stefano Roggerone -. Lo stesso nuovo Commissario alla PSA, anche questo senza poteri reali, ha ammesso che il fenomeno si sta allargando. Liguria (372 casi) , Piemonte (459), un caso in Lombardia, focolaio nel Lazio, la provincia di Reggio Calabria, un caso in Campania. Non vorremmo che la nostra regione venisse individuata come “l’untore”, a causa di una continua azione di rinvio, di mediazione per salvaguardare interessi legittimi ma non prioritari. Rischiamo di mettere in discussione la reputazione di un settore economico di primo piano nel nostro Paese: l’agroalimentare”.