San Paolo – Dopo gli Stati Uniti anche il Brasile ingaggia un braccio di ferro per ottenere i dati sensibili dalle mega aziende tecnologiche. La polizia federale ha arrestato il vice presidente di Facebook, Diego Jorge Dzodan, responsabile del Social network per tutta l’America Latina.
Il manager è stato arrestato dopo l’ennesimo rifiuto di svelare i contenuti delle conversazioni private, via whatsApp tra alcuni narcotrafficanti.
La difesa di Facebook – e della controllata Whatsapp – è che i tecnici non possiederebbero la chiave di lettura dei messaggi. In parole povere non hanno la possibilità di decriptare le conversazioni avvenute tra gli iscritti.
Una spiegazione che non convince i giudici che hanno fatto arrestare il vice presidente di Facebook per intralcio alla Giustizia.
Secondo i giudici – e molti tecnici – è molto improbabile che chi ha realizzato il software non conosca il modo per decodificare i testi ed è molto più probabile che le Aziende stiano cercando di rendere più appetibili i loro prodotti facendo credere che siano addirittura “a prova di Legge”.
Lo scontro tra Giustizia e Mega Corporations è in corso un pò ovunque ma Stati Uniti e Brasile sembrano i più inclini ad usare “le maniere forti” per ottenere quanto richiesto.
Il dibattito sulla tutela della privacy è molto acceso ma non si capisce per quale motivo le forze dell’ordine possono perquisire un’abitazione o intercettare le telefonare e non dovrebbero poter leggere il contenuto delle conversazioni via Facebook o Whatsapp o, ancora, ottenere i dati criptati di un iPhone.
L’attenzione del dibattito dovrebbe invece spostarsi sul “come” questi dati devono essere forniti.
Ad esempio potrebbe essere deciso che solo una richiesta di un giudice possa autorizzare alla violazione della privacy per cause di forza maggiore e che il Governo dei vari Paesi non possa intercettare senza prima ottenere una autorizzazione di un giudice.
Home Notizie Nazionali