Genova – Il ponte Morandi è crollato per la corrosione della parte superiore della pila 9, lato sud e controlli puntuali avrebbero potuto evitare la tragedia.
Pesano come un macigno le parole scritte nella perizia depositata questo pomeriggio dai tecnici del Tribunale di Genova che hanno esaminato i resti del viadotto crollato il 14 agosto del 2018 uccidendo 43 persone. A scriverle i periti nominati dai magistrati che indagano sul crollo e che ora hanno “l’arma fumante” per procedere speditamente verso un processo che potrebbe vedere aggravarsi ulteriormente le posizioni di tutte le persone accusate di aver avuto una responsabilità in quanto avvenuto.

Il documento di 500 pagine indica nel cedimento di un tirante della pila 9 la causa scatenante del terribile effetto a catena che, quel terribile giorno di agosto, ha causato la morte di 43 persone che percorrevano l’autostrada ignare di quanto stava per avvenire. Vite che, leggendo la perizia, sembra potessero essere salvate se gli esami e i controlli sulla struttura fossero stati realizzati secondo le disposizioni di legge, con la cura prevista e con le tempistiche indicate nei programmi.

Difficile sostenere la tesi difensiva della “tragica fatalità” e tutto in salita il lavoro dei difensori di Autostrade per l’Italia che vedono chiudersi senza ritorno ogni tipo di “attenuante”. Chi sapeva e chi decise ha la responsabilità diretta delle morte di 43 persone innocenti.

La Procura ottiene con la perizia la risposta alle 40 domande fatte ai periti ed ogni riga delle risposte è un pugno in pieno stomaco per i parenti delle vittime che, oggi, sanno che i loro congiunti potrebbero essere ancora in vita se tutto fosse andato come era previsto da accordi e normative.

“controlli e manutenzioni – si leggerebbe nella perizia – che se fossero stati eseguiti correttamente, con elevata probabilità avrebbero impedito il verificarsi dell’evento” e sempre secondo i periti del gip “la mancanza e/o l’inadeguatezza dei controlli e delle conseguenti azioni correttive costituiscono gli anelli deboli del sistema; se essi, laddove mancanti, fossero stati eseguiti e, laddove eseguiti, lo fossero stati correttamente, avrebbero interrotto la catena causale e l’evento non si sarebbe verificato”.

Il documento precisa anche che “il processo di corrosione è cominciato sin dai primi anni di vita del ponte ed è progredito senza arrestarsi fino al momento del crollo determinando una inaccettabile riduzione dell’area della sezione resistente dei trefoli che costituivano l’anima dei tiranti, elementi essenziali per la stabilità dell’opera”.

Sgomberato il campo da altre suggestive e fantasiose ricostruzioni: “non sono stati individuati fattori indipendenti dallo stato di manutenzione e conservazione del ponte che possano avere concorso a determinare il crollo, come confermato dalle evidenze visive emerse dall’analisi del filmato Ferrometal”.