gelato-bandiera-ucrainaGenova – Una vaschetta di gelato con i colori della bandiera dell’Ucraina che fa bella mostra in una gelateria di piazza Galileo Ferraris, a Marassi. E’ l’idea della Cremeria degli Artisti che ha voluto così lanciare un messaggio di fratellanza con la nazione aggredita dalle truppe di Vladimir Putin.

“Non abbiamo mai fatto il “puffo” – scrivono sulla loro pagina Facebook – ma la vita spesso insegna che c’è sempre una prima volta. È lì… al centro del banco, e nessuno lo può prendere o portare via. Non lo vendiamo”.

I titolari della gelateria, infatti, hanno deciso che il gelato con i colori della bandiera dell’Ucraina non si può “portare via”.

“Perchè è un principio – spiegano – E come tale non lo si può toccare o prendere. È inviolabile. Non è un messaggio pro Ucraina contro Russia. Non è contro nulla, se non contro un unico inviolabile principio universale. Contro una guerra con vittime di violenza: su ambo i fronti”.

La gelateria invita anche i “colleghi” a lanciare un messaggio con il loro lavoro: il gelato.

“Ognuno può trovare una modalità che ritiene più idonea, in base a come si sente di esprimerla – spiegano ancora alla Cremeria degli Artisti – I colori sono quelli dell’Ucraina, perché in questo momento sono loro l’esempio e il capro espiatorio massimo di ciò che è in gioco. In gioco per tutti. È un qualcosa contro la libertà di vita, di esprimersi, di difendersi.
Che fa leva su un ricatto su scala mondiale”.

Alla gelateria tengono a far sapere che non si tratta di una condanna nei confronti della Russia o dei cittadini russi. Uno dei dipendenti arriva proprio da quei luoghi.

“Speriamo – spiegano – che il dissenso espresso, quasi mondiale, verso questa forma “politica”, possa sostenere sempre di più quei Russi oppressi e in disaccordo, nel trovare il coraggio per far sentire, non senza rischi, anche la loro voce”.

E sul “caso raccontano: “Quando ho pensato di realizzare questa vaschetta, per correttezza, ne ho voluto parlare con un mio dipendente, un bravissimo ragazzo, russo.
Però quando, quello stesso giorno, l’ho visto arrivare a lavoro con una fascia al braccio con i colori dell’Ucraina, ho capito che non ce ne sarebbe stato bisogno. Perché eravamo esattamente sulla medesima linea di pensiero. Tant’è che mi ha chiesto se poteva essere lui stesso a farla materialmente. E così ha fatto. I simboli non si possono vendere. Perché non gli si potrà mai dare un prezzo”.

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