Genova – Un appello sui social, dall’Egitto, dove la vicenda sta avendo larga eco sui Media, per riavere al più presto il corpo senza vita del figlio per una degna sepoltura. Lo hanno lanciato i genitori di Mahmoud Abdalla, il ragazzo di 19 anni ucciso e decapitato da due connazionali e gettato in mare dopo aver fatto scempio del cadavere.
I genitori di Mahmoud hanno postato un lungo video nel quale chiedono Giustizia ma anche la possibilità di riportare il corpo del ragazzo in patria, per poter dare una degna sepoltura e per avere un luogo dove piangerlo.
La famiglia versa in condizioni economiche precarie e probabilmente proprio per questo il ragazzo aveva tentato la Fortuna in Italia e, avendo trovato un lavoro era anche di aiuto.
Padre e madre di Mahmoud hanno confermato di sapere che il ragazzo si lamentava per il troppo lavoro e anche di essere pagato “troppo poco” e proprio per questo aveva deciso di andarsene per accettare un’altra proposta di lavoro più allettante e, per questo, potrebbero entrare nelle indagini sull’omicidio in qualità di persone informate sui fatti.
Nel frattempo la Comunità islamica genovese ha organizzato una veglia funebre per il ragazzo, in attesa che sia possibile celebrare un funerale secondo la tradizione e il rituale musulmano.
Probabilmente verrà aperta una sottoscrizione per pagare le spese di trasporto della salma in Egitto ma, per avere l’autorizzazione all’espatrio, occorre il nulla osta del magistrato che segue il caso e che potrebbe chiedere altri accertamenti sul corpo per accertare la verità sui fatti. Un passaggio doveroso che si ripete per ogni morte violenta in Italia come in gran parte dei Paesi del Mondo.
Il dolore dei genitori di Mahmoud dovrà attendere che la Giustizia faccia il suo corso, proprio come loro stessi hanno chiesto.
La storia di Mahmoud Abdalla, intanto, scuote le coscienze perché oltre all’orribile fatto di sangue, fa discutere il fatto che l’omicidio possa essere maturato come “punizione” per essersi opposto ad uno sfruttamento sul Lavoro e, forse, ad una “ribellione” che avrebbe portato a rivelare lo sfruttamento alla Guardia di Finanza che aveva fatto un controllo nel negozio dove lavorava il ragazzo.