Roma – Sembra davvero senza fine la profondità del pozzo (nero) dell’inchiesta denominata ‘Mafia Capitale’ che già lo scorso dicembre aveva fatto scattare le manette ai polsi di 37 indagati, con il coinvolgimento di altri 40. Nel frattempo infatti l’inchiesta si è allargata a macchia d’olio scoprendo il coinvolgimento di altre decine di esponenti della politica e delle amministrazioni locali.
Il ‘secondo tempo’ di questo film sulla corruzione dilagante nelle istituzioni romane ha portato oggi 19 persone in carcere e 25 ai domiciliari, mentre altre 21 sono indagate a piede libero e altrettante sono state le perquisizioni effettuate dalle forze dell’ordine.
Ancora una volta, l’ex terrorista dei Nar Massimo Carminati e il presidente della cooperativa ’29 giugno’ Salvatore Buzzi, risultano i pezzi da novanta dell’ordinanza di custodia cautelare del gip Flavia Costantini, eseguita dai carabinieri del Ros.
La novità, rispetto al primo filone, è che sono stati chiamati in causa esponenti delle istituzioni, di destra e di sinistra, al Comune a alla Regione Lazio, a libro paga dell’organizzazione di stampo mafioso che a Roma faceva affari di ogni tipo (business degli immigrati ‘in primis’) e si aggiudicava i migliori appalti (tra i quali punti verde e piste ciclabili) venendo a patti con imprenditori collusi e politici corrotti. C’era chi beneficiava di uno stipendio mensile e chi si accontentava di sistemare amici o conoscenti nelle cooperative. Dunque mafia, ma anche corruzione e turbativa d’asta.
In carcere sono finiti, tra gli altri, Luca Gramazio, ex consigliere capogruppo Pdl in consiglio comunale e poi in Regione: è ritenuto il ‘volto istituzionale’ di Mafia Capitale per aver messo le sue cariche al servizio del sodalizio criminoso con cui avrebbe elaborato “le strategie di penetrazione nella pubblica amministrazione”. In cambio avrebbe ricevuto 98.000 Euro in contanti in tre tranche, 15.000 di bonifico per il finanziamento al suo comitato, l’assunzione di 10 persone, cui veniva garantito uno stipendio.
Ci sono poi Mirko Coratti, ex presidente del consiglio comunale in quota Pd, dimessosi a dicembre dopo la prima ondata di arresti e il suo capo segreteria, Franco Figurelli. Per i pm, avrebbero ricevuto la promessa di 150.000 Euro, la somma di 10.000 e l’assunzione di una persona segnalata da Coratti in cambio di una serie di favori da fare alle cooperative di Buzzi.
In cella sono finiti anche Daniele Ozzimo, ex assessore Pd alla Casa, Angelo Scozzafava, ex capo del quinto dipartimento Promozione dei Servizi Sociali e della salute di Roma, Pierpaolo Pedetti, consigliere comunale nel 2013 con il Pd, presidente della Commissione Patrimonio. Ai domiciliari Giordano Tredicine, consigliere comunale per Fi, il costruttore Daniele Pulcini, e l’ex presidente del Municipio X Andrea Tassone.
Nell’indagine è risultata coinvolta tutta la dirigenza della cooperativa ‘La Cascina’, vicina al mondo cattolico, impegnata nella gestione dei profughi: in manette i dirigenti Domenico Cammissa, Salvatore Menolascina, Carmelo Parabita (tutti ai domiciliari) e Francesco Ferrara (in carcere). Per il gip, Luca Odevaine, che apparteneva al Tavolo di Coordinamento Nazionale sull’accoglienza per i richiedenti, avrebbe ricevuto dai quattro “la promessa di una retribuzione di 10.000 euro mensili, aumentata a euro 20.000 mensili dopo l’aggiudicazione del bando di gara del 7 aprile 2014”. Nell’ordinanza si parla anche di Gianni Alemanno che, secondo il gip, una volta chiuso il mandato di sindaco di Roma, si sarebbe rivolto a Buzzi per avere appoggi in vista delle europee del maggio 2014. Buzzi, a sua volta, si sarebbe attivato contattando l’imprenditore Giovanni Campennì, espressione di un clan calabrese della ‘ndrangheta, affinchè “gli amici del sud” supportassero questa campagna elettorale.