Lecce – E’ morto tra le cassette dei pomodori per poche decine di euro al giorno. Stroncato dalla fatica, sotto il sole a picco, in un campo pugliese nelle campagne tra Avetrana e Nardò. Mohamed aveva 47 anni, veniva dal Sudan ed era finito nel tritacarne del mondo senza regole dei raccoglitori, il mestiere che ormai gli italiani rifiutano. Braccianti – schiavi costretti ad accettare condizioni di lavoro disumane. Schiena curva, ritmi feroci, sole cocente e un’elemosina in nero. Poche ore di sonno in tuguri adibiti a dormitori e un nuovo giorno da schiavo che ricomincia.
Mohamed non ha retto ed è stramazzato a terra, in un campo di concentramento del nostro tempo: un forno a cielo aperto dove la canicola toccava di 40 gradi. La Procura di Lecce ha aperto l’inchiesta. Gli indagati per omicidio colposo sono tre: i titolari dell’azienda, marito e moglie, e il ‘caporale’ sudanese che avrebbe ricoperto il doppio ruolo di procacciatore di manodopera e di mediatore tra i lavoratori africani e i proprietari terrieri. Mohamed, secondo i primi accertamenti, era in possesso di permesso di soggiorno, in quanto richiedente asilo, ma non aveva un contratto di lavoro. Un’ombra senza diritti. Domani chi prenderà il suo posto ?
Fabio Tiraboschi