Roma – Cibo sprecato, un’emergenza etica. In tempi di crisi feroce, e mentre la vetrina planetaria dell’Expo pone l’accento sullo scandalo, si consolidano gli squilibri tra produzione e consumo reale. Prendiamo l’Italia. Ogni famiglia butta via 49 chili di cibo all’anno per un totale di 1,19 milioni di tonnellate di alimenti sani e commestibili che finiscono puntualmente in discarica (fonte Eurisko). Tradotto in termini economici l’affronto è ancora più grave: 316 euro a famiglia per un totale di circa 7,65 miliardi di euro all’anno. In testa agli sprechi risorse basilari, come pane, frutta e verdura. L’allarme è stato rilanciato recentemente dalla Fao secondo cui il 35% del cibo prodotto nel pianeta non viene utilizzato, malgrado il calvario patito da 800 milioni di persone condannate a sopravvivere sotto la soglia della malnutrizione.
Dalla Francia arriva una lezione di civiltà. L’assemblea Nazionale (il nostro Parlamento) ha istituito per la prima volta il reato di spreco alimentare, votando a maggioranza un pacchetto di provvedimenti volti ad arginare la pessima pratica. Punto cruciale della battaglia il riconoscimento del “dovere di solidarietà” per le catene della grande distribuzione. Sulla base di questo principio gli ipermercati, sopra ai 400 metri quadrati di superficie, dovranno destinare il cibo ancora commestibile ad enti di beneficienza con i quali saranno obbligati a convenzionarsi. Un principio di buona educazione reso obbligatorio dalla legge. Tra le altre misure anti-spreco la promozione delle “doggy-bag”, piccole buste per portarsi a casa il cibo avanzato al ristorante. Le pene per gli ‘spreconi’ sono severe e possono arrivare fino ai 2 anni di carcere. L’obiettivo dichiarato dal Governo francese è dimezzare lo spreco alimentare entro il 2025. Sullo stesso fronte l’Italia è assente. Mille convegni, ma finora nessun atto concreto.
Fabio Tiraboschi