Genova – Se piovesse oggi la stessa quantità di acqua che cadde nel 1970, la città non sarebbe al sicuro e i corsi d’acqua allagherebbero tutto. L’allarme lo ha lanciato il presidente dei Geologi della Liguria, Carlo Civelli, accompagnando giornalisti e cittadini in un viaggio alla scoperta della storia dei corsi d’acqua della città di Genova organizzato proprio per fare il punto della situazione sulla sicurezza idro geologica.
Nonostante la realizzazione dello scolmatore del Fereggiano e i lavori in corso alla copertura del Bisagno, alla Foce, la città, se si ripetessero le condizioni di quel tragico ottobre del 1970, finirebbe sott’acqua esattamente come allora.
In 50 anni poco è cambiato ed anzi, la cementificazione delle colline e la riduzione degli spazi verdi ha reso la città ancora più pericolosa.
La messa in sicurezza della città procede ma ancora non siamo fuori pericolo.
Se cadessero come allora 948 millimetri di pioggia in 24 ore, i corsi d’acqua non riuscirebbero a trattenerli ed esonderebbero come allora.
L’impatto delle piogge sui versanti costruiti e non, sarebbe devastante e si potrebbero verificare crolli come quello che distrusse un’ala del Biscione nel 1970.
Ancora una volta sarebbe la Valbisagno e la zona di Voltri a pagare il prezzo più alto.
Allora furono 43 i genovesi morti ed oggi potrebbe andare anche peggio.
A pagare un prezzo molto alto sarebbe anche il Ponente. Allora furono 13 le vittime solo a Voltri dove la violenza del Leira, uscito dagli argini, travolse tutto uccidendo persone nei negozi e per strada e portando a valle una coltre di fango di diversi metri.
“L’alluvione che nel 1970 colpì la città di Genova è ricordato tra gli eventi più calamitosi verificatisi in Liguria e in Italia. – ha commentato Carlo Civelli, presidente Ordine dei Geologi della Liguria – Rievocare quell’evento rimane doveroso per il ricordo delle vittime e dei danni subiti dalla città, non si deve però rimanere confinati alla sola commemorazione, dobbiamo imparare dagli eventi passati per poter affrontare il futuro e gestire meglio il territorio”.
Pochi giorni fa il nostro territorio è stato nuovamente martoriato da alluvioni e frane che hanno colpito in particolare il ponente della Regione.
Questi eventi si verificano con frequenza sempre maggiore e colpiscono pesantemente un territorio come quello ligure che è caratterizzato da fragilità geologiche e geomorfologiche ma anche da pesanti eredità di urbanizzazioni poco rispettose dell’ambiente se non in alcuni casi incoscienti.
“Siamo sempre col fiato corto all’inseguimento dell’emergenza del momento – ha spiegato Civelli – con interventi che doverosamente vengono eseguiti in massima urgenza per ovviare ai disagi della popolazione, ma che non essendo pianificati e programmati rappresentano in molti casi solo un rattoppo ad un problema più vasto e una dispersione di energie e risorse economiche togliendole di fatto alla fase di prevenzione. Occorre quindi reperire le risorse ed agire preventivamente in tempo di pace pianificando gli interventi a partire dalle situazioni maggiormente a rischio ed incentivando economicamente non solo gli enti pubblici ma anche i privati per eseguire interventi di consolidamento e manutenzione del territorio”.
Un’alluvione che è segno indelebile degli errori commessi nell’urbanizzazione del territorio, come ricorda Guido Paliaga, presidente SIGEA Liguria: “la mancanza delle necessarie attenzioni e valutazioni dei fenomeni che si erano già verificati in un passato remoto ma di cui si conservano informazioni precise, ovvero l’alluvione del 1822, ha portato al restringimento dell’alveo del torrente ad oltre un terzo della sua larghezza originaria e all’impermeabilizzazione e saturazione di tutti gli spazi pianeggianti un tempo disponibili alle esondazioni. L’errato dimensionamento della copertura del tratto terminale del Bisagno realizzata negli anni ‘20 ha quindi giocato un ruolo chiave nei successivi eventi alluvionali: quello del 1970, del 1992, del 2011 e del 2014.
Le opere strutturali attualmente in esecuzione renderanno la capacità della copertura, grazie anche allo scolmatore, adeguata al deflusso che si è verificato durante quegli eventi, ma è solo attraverso un’attenta opera di manutenzione dell’intero bacino idrografico che si può ottenere una efficace mitigazione del rischio idrogeologico, impedendo che grandi quantità di detriti si aggiungano all’acqua piovana alimentate da frane ed erosione.
Al percorso itinerante sui luoghi dell’alluvione del 1970 hanno partecipato anche gli studenti del primo anno della Laurea Magistrale in Scienze Geologiche, nell’ambito delle attività didattiche dell’insegnamento di “Pericolosità Geo-idrologica”.
“Si tratta di un originale urban geomorphological trip articolato in 7 tappe, – ha spiegato Francesco Faccini, di UNIGE – tra la confluenza del Torrente Fereggiano e la foce del Torrente Bisagno, finalizzato a fornire l’immediata comprensione delle dinamiche alluvionali avvenute negli ultimi 200 anni, delle grandi modificazioni del territorio per cause antropiche e delle attività per la mitigazione del rischio.
Il Corso di Studi in Scienze Geologiche dell’Università di Genova ritiene strategico, oltre ai necessari interventi strutturali ed alla delocalizzazione di elementi a rischio, procedere con l’analisi e il monitoraggio del territorio quale elemento fondamentale per le attività di prevenzione e mitigazione delle pericolosità e dei rischi naturali.
Per questo motivo, il Corso di Studi in Scienze Geologiche propone un curriculum di Laurea Magistrale volto a fornire particolari competenze sull’identificazione e mitigazione dei Rischi geologici e ambientali (frane, alluvioni, eventi sismici, erosione costiera, inquinamento del sottosuolo e delle acque sotterranee) per una corretta gestione del territorio”.