Roma – Dalla sua nascita, nel 1995, la fruizione della musica non è stata più la stessa. L’MP3, scoperta rivoluzionaria firmata da un team di ricercatori guidati dall’ingegnere italiano Lorenzo Chiariglione, è il formato audio che ha reso la musica “trasportabile” e “riproducibile”. Vantaggi sostanziali che, tuttavia, hanno comportato effetti collaterali negativi: il più noto è quello legato alla ‘pirateria’ dei dischi. Minacciate dalla ‘spada di Damocle’ degli MP3, scaricabili gratuitamente da siti illegali, le case discografiche hanno dovuto ridurre il costo della musica, con drammatiche ripercussioni sull’occupazione del settore.
Il mercato si è adeguato e grazie alle dimensioni ridotte del formato MP3 (pari ad un decimo delle dimensioni del brano audio originale) ha ripiegato sulla vendita on line della musica. Cassette, lettori cd e giradischi hanno lasciato campo libero a chiavette, Ipod e smartphones. Players minuscoli, dove è possibile immagazzinare ore di musica e centinaia di brani. Un sistema pratico, certo, ma che ha fatto storcere il naso ai puristi. Da quel fatidico 1995 le modalità dell’ascolto sono diventate più comode a discapito, però, dell’assoluta fedeltà di ascolto.
Nel formato MP3 la qualità del segnale audio è molto inferiore, dato che per poter comprimere un brano, si devono eliminare, ridurre o condensare alcuni parametri. Anche per questa ragione, strumenti che sembravano sepolti sono riemersi dalla polvere e dal dimenticatoio. La rivalutazione del vinile insegna. Dopo la rivoluzione digitale le grandi etichette discografiche ne avevano abbandonato la produzione. Ma a volte la storia si ripete e già dai primi anni 2000 il vinile è ritornato a riempire, poco alla volta, gli scaffali dei negozi musicali. Segno che talvolta il passato è un salutare rifugio.
Fabio Tiraboschi