Genova – Malati stipati come in un magazzino all’ospedale Villa Scassi di Sampierdarena. La denuncia è di Ferruccio Sansa ex candidato presidente della Regione Liguria e guida dell’opposizione all’attuale maggioranza che guida l’ente regionale.
In qualità di consigliere regionale, Sansa ha effettuato un sopralluogo all’ospedale del ponente genovese per verificare alcune segnalazioni circa le difficoltà che vivono pazienti e lavoratori della struttura.
L’ospedale Villa Scassi è in prima linea contro l’epidemia di coronavirus-covid 19 e la situazione, che le autorità sanitarie continuano a definire “sotto controllo” sembrerebbe in realtà allo stremo e già ora, con l’impennata dei casi di contagio (e conseguenti ricoveri) ancora ben lontana dall’essere al suo vertice, disagi e difficoltà sono pesantissime.
“Come consigliere regionale sono entrato nell’ospedale di Villa Scassi – scrive Ferruccio Sansa nel suo post su Facebook – e soprattutto nel Pronto Soccorso. Entrare nei reparti Covid serve per capire davvero cosa sta succedendo. Per sapere e far sapere come vengono curati i malati e come si sacrificano i sanitari. Serve per trovare soluzioni, per ascoltare le testimonianze e soprattutto le proposte di chi è in prima linea e rischia la vita per tutti noi”.
Ecco il resoconto di Sansa su quanto visto oggi nell’ospedale Villa Scassi di Sampierdarena:
“Vede quella donna. È in poltrona da giovedì mattina. Quasi due giorni. Ha una polmonite, ma non c’è spazio nemmeno per farla sdraiare”. Il sanitario di Villa Scassi indica una signora anziana con i capelli bianchi, le gambe incrociate con un residuo di compostezza, l’espressione cortese. È una donna che soffre di demenza. Sarà per questo che vedi l’ombra di un sorriso remoto sulle sue labbra sottili. Nonostante intorno a lei ci siano decine e decine di persone malate di Covid. Sei, otto, dieci in pochi metri quadrati. “Non hanno nemmeno lo spazio per alzarsi, per andare in bagno. E noi sanitari non abbiamo fisicamente lo spazio nemmeno per passare tra le barelle e andarli a curare”.
Ecco il pronto soccorso di Villa Scassi ieri e oggi. In condizioni normali, racconta un sanitario, “si arrivava ad avere 40 malati. Nei picchi di influenza anche 50. Oggi abbiamo quasi 80 malati di Covid, più dieci persone dubbie e al piano di sopra quindici persone negative con altre patologie”.
Rischia quasi – l’espressione è terribile, me ne rendo conto – di sembrare un magazzino, di donne e uomini; se non fosse per i medici e gli infermieri che si muovono instancabilmente in mezzo ai malati.
Abbiamo parlato con decine di loro. Gente che ogni giorno rischia di ammalarsi, a volte di riprendersi il Covid: “Io l’ho già avuto”, allarga le braccia un medico, “spero di essere immune, ma nessuno lo sa”.
Qui a Sampierdarena hanno già pagato un tributo altissimo: nella prima ondata del virus sono morti l’infermiera Anna Poggi e i medici Emilio Brignole e Dino Pesce.
Decine di persone che raccontano, ma non vogliono fare polemica:
“La dirigenza dell’ospedale fa quello che può. La Asl3, bisogna dargliene atto, finora sta tenendo duro e non ha soppresso le ferie come a marzo. Il punto è che a livello centrale hanno fatto passare mesi inutilmente. Possibile che credessero davvero che la seconda ondata non arrivata? Possibile che pensassero sul serio, come blaterava qualcuno, che il virus era diventato meno pericoloso? Noi medici e infermieri sapevamo tutti che ci saremmo trovati di nuovo in questa situazione”.
Se continuerà così sarete in condizioni di totale emergenza?
“Si guardi intorno, siamo già ben oltre la linea rossa. Se non si prendono provvedimenti immediati”, e il medico batte in pugno sul muro come se volesse tracciare una sottolineatura rossa sotto la parola, “immediati, non potremo più curare le persone. E non potremo più assistere le persone che hanno patologie diverse dal Covid”.
Ci hanno provato eccome a Villa Scassi. La separazione tra zona sporca (quella dei malati di Covid) e zona pulita pare molto più efficace che in altre strutture. C’è una separazione ben definita, oltre la quale non si entra se non si è totalmente protetti. Tutto il personale – è successo anche a me – è munito di mascherine, visiera di plastica, tuta, copriscarpe. Tassativamente.
Ma dentro, nonostante l’impegno assoluto di medici, infermieri e oss, i malati non hanno spazio. Sono letteralmente uno sopra l’altro. I motivi?
“Oggi i medici di famiglia ci hanno riversato addosso un’ondata di malati… venti, trenta, non li conto più”, allarga le braccia una sanitaria. Non se la prende nemmeno con i colleghi che lavorano fuori, in quel luogo oltre i muri dell’ospedale che la donna indica con un dito e da qui sembra un altro mondo. Irraggiungibile.
“I medici di famiglia, lo so benissimo, non sanno più cosa fare. Non è nemmeno colpa loro. Ma la sanità territoriale non ha funzionato, e dopo sei mesi siamo come a marzo. Non ce la facciamo più. Cosa è stato fatto in questi mesi?”.
E poi a volte non bastano le separazioni tra pulito e sporco. Il virus non ha categorie così nette: “Ci sono i positivi e i negativi”, racconta un medico nel parcheggio davanti all’ospedale, “ma ci sono anche persone con sintomi che non sappiamo se siano malate di Covid. In alcuni casi, lo posso testimoniare direttamente, ci sono state persone con tutti i sintomi che poi si sono rivelate negative. E alcune nel frattempo sono state sistemate in una zona a rischio… speriamo che non si siano ammalate venendo qui”.
È proprio come a marzo? No, alcune cose sono meglio. Altre peggio, però.
“Rispetto a marzo siamo molto più bravi e abbiamo tutti i presidi necessari: ci sono i caschi per l’ossigeno, ci sono le mascherine e tutte le protezioni”, ripetono medici e infermieri di Villa Scassi. Ma altre criticità si sono esasperate:
“Non abbiamo personale e non abbiamo spazi”. Cosa succede? “Rispetto a marzo abbiamo meno medici e infermieri. In primavera c’erano persone che venivano da Sestri Ponente, oggi no. In sei mesi abbiamo perso almeno tre anestesisti che sono andati via, in pensione. Ancora: a marzo erano state sospese molte cure delle altre patologie, così il personale poteva venire da noi. Oggi no”.
Il risultato te lo trovi davanti nei turni di notte: “Alcune notti avevamo tre medici per oltre cento persone, uno solo per il Covid. Vi rendete conto?”, i medici indicano la distesa di letti. Uomini e donne sistemati alla bell’e meglio su lettighe, barelle e poltrone con il numero scritto a mano con un pennarello su un foglio di carta. Magari senza un comodino, senza un centimetro quadrato dove riporre una bottiglia, un telefonino, quelle minime cose che al malato danno l’illusione di non aver abbandonato il proprio mondo.
Tre medici che si muovono scavalcando letti e persone, cercando di tenere d’occhio decine e decine di schermi con i parametri vitali che pulsano nei led verdi dei monitor sistemati come si può: ossigeno, pulsazioni…
Per gli infermieri non va meglio:
“Uno ogni quindici, venti malati. Impossibile”, scrolla la testa una donna. “Non si può lavorare così. Dover dire a una famiglia con una telefonata di pochi secondi che i loro cari sono stati intubati… o che sono… morti. Mancano gli uomini e manca lo spazio porca miseria!”, cerca di manifestare rabbia, ma non sembra avere più la forza di alzare la voce. Forse sta facendo una smorfia, ma la faccia non gliela vedi, coperta com’è da maschere e tuta: “Ormai passo la maggior parte della mia vita con il viso coperto, quando arrivo a casa e mi vedo allo specchio mi stupisco”.
Riuscirete ad andare avanti?
“Ecco, la differenza grande è che a marzo avevamo la speranza di riuscire a venirne fuori entro tre mesi, con l’estate. Adesso sappiamo che abbiamo molti mesi davanti. E soprattutto in primavera sentivamo il sostegno della gente, oggi si sono dimenticati di noi”.
Manca il personale e manca lo spazio. “Capita spesso che dobbiamo visitare le persone direttamente a bordo delle ambulanze perché non sappiamo dove sistemarle!”, ti senti raccontare. Mancano anche le barelle: “Mi hanno preso la barella e ci hanno sistemato un malato perché non sapevano dove metterlo. Ma io da ore aspetto e non posso andarmene”, spiega un milite della Croce che attende nel parcheggio per andarsene con l’ambulanza.
Medici, infermieri, oss, militi non sembrano lamentarsi della direzione dell’ospedale: “E che cosa potevano fare loro? La struttura e i mezzi sono questi. Il disastro viene da altrove, a volte viene da lontano. Anni e anni di scelte che hanno portato a questo”.
Villa Scassi da marzo è la prima frontiera contro il Covid: “Qui abbiamo un bacino di quasi centomila persone”. E infatti uno dopo l’altro i reparti cedono: nei giorni scorsi anche cardiologia è diventata Covid. Proprio cardiologia che a Villa Scassi è un fiore all’occhiello, con riconoscimenti a livello nazionale per la rapidità delle terapie fornite alle persone persone colpite da infarto. “E’ una scelta provvisoria, il nostro impegno è tornare ‘puliti’ molto presto”, assicura la direzione. Ma intanto chi viene colpito da infarto ed è negativo si trova davanti un sistema sanitario scoperto per la cardiologia da Genova a Savona. Con il bacino immenso di tutto il Ponente genovese.
I dati forniti da Alisa indicano chiaramente che Villa Scassi è la prima linea: 47% di posti Covid sul totale, contro il 37% del Galliera e il 23% di San Martino.
Ma i numeri non renderanno mai l’idea. Perché quando dietro le mascherine ritrovi gli occhi di medici, infermieri e oss ti chiedi cosa proveresti tu a vivere qui giorno e notte; ti chiedi se avresti il coraggio di rischiare la vita ogni istante contro un nemico che in questa corsia non è più invisibile (lo senti nell’aria quasi inebriante di ossigeno, nella luce cupa dei neon). E poi ci sono i malati con i lineamenti deformati sotto i caschi: non basta voltarsi per non incrociare i loro occhi smarriti, queste sono persone che qualche giorno fa forse hai incontrato per strada. Potrebbero essere, forse sono, persone cui vuoi bene. Potresti essere tu.
E per toglierti il pensiero non basta, appena esci, toglierti per un attimo la mascherina e respirare fino in fondo ai polmoni. Non basta.
DIECI PROPOSTE DEGLI OPERATORI SANITARI DI VILLA SCASSI (medici, infermieri, oss, barellieri, militi)
1. Servono più posti letto per malati di medio e medio alta intensità.
2. Per i malati di bassa intensità, per chi è stato dimesso ma è ancora positivo e non può rientrare a casa (perché è solo o rischia di contagiare i familiari) occorre reperire altre strutture esterne, come caserme.
3. Occorre spostare altrove le chirurgie di elezione
4. Bisognava, ma forse si può ancora fare, duplicare alcuni reparti, uno per positivi e uno per negativi: cardiologia con emodinamica, nefrologia e dialisi, rianimazione, radiologia interventistica.
5. Si potrebbero utilizzare i medici delle forze armate
6. Bisogna assolutamente liberare i medici degli ospedali e i medici di famiglia dai compiti burocratici, possibilmente utilizzando il personale amministrativo.
7. Occorre potenziare il servizio degli assistenti sanitari che tengono i rapporti tra ospedale e assistenza fuori dalle strutture (Rsa, medici di famiglia, reperimento di badanti, famiglie).
8. Occorre accelerare il ‘drenaggio’ dei malati in via di dimissioni. Alcuni pazienti attendono giorni prima di tornare a casa impegnando strutture e posti letto.
9. Occorre assumere al più presto soprattutto infermieri. Ma è essenziale formarli perché i neo assunti difficilmente hanno l’esperienza per assistere i malati più gravi.
10. Si deve pensare a lockdown per aree limitate (Genova, ma anche singoli quartieri) e anche per categorie di persone a rischio, per esempio per gli ultrasessantacinquenni.