Genova – Niente passeggiate nei boschi, corse in mountain bike o trekking o raccolta funghi nei boschi di parte della Liguria sino a giugno e altre cinque carcasse di cinghiale colpito da peste suina africana tra Liguria e Piemonte.
Cresce l’allarme per la sempre più probabile epidemia di peste suina africana a cavallo tra le due regioni confinanti e cresce la necessità di affrontare al più presto, anche con metodi drastici l’emergenza che potrebbe avere effetti devastanti sul settore dell’allevamento e della produzione di salumi e insaccati di tutta Italia.
Dopo i tre casi rilevati e accertati dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (IZSPLV) e confermati dal Centro di Referenza Nazionale per le pesti suine (CEREP), tra Liguria e Piemonte (2 in Piemonte e 1 in Liguria) altre 5 segnalazioni hanno trovato conferma e sempre nella stessa zona, segno che probabilmente non si tratta di “casi isolati” ma di un fenomeno ben più grave.
In un’area di poche decine di chilometri, sull’appennino al confine tra le province di Genova, e Alessandria, i casi accertati salgono a 8.
Cinque casi in Piemonte (a Ovada, Tagliolo Monferrato, e Fraconalto e due a Voltaggio), e tre sul versante ligure (a Isola del Cantone e due a Ronco Scrivia).
Diventa quindi davvero urgente contenere al più presto l’area di espansione del virus con la speranza che la malattia resti confinata nelle aree dove è stata attualmente localizzata.
Per questo motivo diventa strettamente necessario il divieto di Caccia già formalizzato in ben 144 Comuni Italiani ma anche il divieto di attività come trekking, mountain bike, raccolta funghi e tartufi ma anche solo le semplici passeggiate nei boschi.
Il pericolo non è per l’uomo. La peste suina africana non si trasmette da suino a essere umano se le carni sono cotte.
Il problema è rappresentato dal rischio che le attività umane spaventino i branchi di cinghiali infetti spingendoli da una zona all’altra con la loro carica batterica.
Un effetto “a catena” che potrebbe estendere la malattia ad un’area ben più grande del territorio e sempre meno controllabile.
Non solo la Caccia “disturba” i cinghiali ma anche il passaggio di mezzi a motore nei boschi (fuoristrada e motocross o enduro o trial) e persino le mountain bike che corrono lungo i sentieri o il vociare delle persone che passeggiano nei boschi.
Da non sottovalutare anche il rischio che scarpe e gomme possano entrare in contatto con materiale infetto (carcasse ma anche feci o materiale espulso durante la malattia) con il conseguente trasferimento involontario della malattia da una zona all’altra.
Questo l’elenco dei Comuni della Liguria già interessati dal divieto di Caccia
Albisola superiore (Provincia di Savona)
Celle Ligure
Pontinvrea
Sassello
Stella
Urbe
Varazze
Arenzano (Provincia di Genova)
Bargagli
Bogliasco
Busalla
Campo Ligure
Campomorone
Casella
Ceranesi
Cogoleto
Crocefieschi
Davagna
Genova
Isola del Cantone
Lumarzo
Masone
Mele
Mignanego
Montoggio
Pieve Ligure
Ronco Scrivia
Rossiglione
Sant’Olcese
Savignone
Serra Riccò
Sori
Tiglieto
Torriglia
Valbrevenna
Vobbia
Che cosa è la Peste Suina Africana
La Peste suina africana (PSA) è una malattia virale, altamente contagiosa e spesso letale, che colpisce suini e cinghiali, ma che non è trasmissibile agli esseri umani.
È una malattia con un vasto potenziale di diffusione e pertanto una eventuale epidemia di PSA sul territorio nazionale comporta pesanti ripercussioni sul patrimonio zootecnico suino, con danni ingenti sia per la salute animale (abbattimento obbligatorio degli animali malati e sospetti tali), che per il comparto produttivo suinicolo, nonché sul commercio comunitario ed internazionale di animali vivi e dei loro prodotti (dai Paesi infetti è vietato commercializzare suini vivi e prodotti suinicoli).
L’Organizzazione mondiale per la sanità animale ed il Nuovo Regolamento di sanità animale della Commissione Europea annoverano la PSA nella lista delle malattie denunciabili: qualunque caso, anche sospetto, deve essere denunciato all’autorità competente, come previsto già dal l Regolamento di polizia veterinaria – DPR n. 320 del 8.2.1954 art.1.
Diagnosi
La PSA è causata da un virus della famiglia Asfaviridae, genere Asfivirus, incapace di stimolare la formazione di anticorpi neutralizzanti. Questa caratteristica rappresenta l’ostacolo più importante alla preparazione di un vaccino, che attualmente non è disponibile in commercio.
I sintomi principali negli animali colpiti sono:
febbre
perdita di appetito
debolezza del treno posteriore con conseguente andatura incerta
difficoltà respiratorie e secrezione oculo-nasale
costipazione
aborti spontanei
emorragie interne
emorragie evidenti su orecchie e fianchi.
La presenza del virus nel sangue (viremia) dura dai 4 ai 5 giorni; il virus circola associato ad alcuni tipi di cellule del sangue, causando la sintomatologia che conduce inevitabilmente al decesso dell’animale, spesso in tempi rapidissimi.
Gli animali che superano la malattia possono restare portatori del virus per circa un anno, giocando dunque un ruolo fondamentale per la persistenza del virus nelle aree endemiche e per la sua trasmissione. Il virus è dotato di una buona resistenza in ambiente esterno e può rimanere vitale anche fino a 100 giorni sopravvivendo all’interno dei salumi per alcuni mesi o resistendo alle alte temperature. Nel sangue prelevato è rilevabile fino a 18 mesi.
La diagnosi di malattia è effettuata tramite vari esami di laboratorio: immunofluorescenza, PCR, ELISA e Immunoperossidasi.
Prevenzione
La malattia si diffonde direttamente per contatto tra animali infetti oppure attraverso la puntura di vettori (zecche). La trasmissione indiretta si verifica attraverso attrezzature e indumenti contaminati, che possono veicolare il virus, oppure con la somministrazione ai maiali di scarti di cucina contaminati, pratica vietata dai regolamenti europei dal 1980, o smaltendo rifiuti alimentari, specie se contenenti carni suine, in modo non corretto.
Nei Paesi indenni la prevenzione dell’infezione si effettua attraverso la sorveglianza passiva negli allevamenti domestici e sulle carcasse di cinghiale rinvenute nell’ambiente o in seguito ad incidenti stradali, il rigoroso rispetto delle misure di biosicurezza negli allevamenti suini, il severo controllo dei prodotti importati e la costante sorveglianza sullo smaltimento dei rifiuti alimentari, di ristoranti, navi e aerei.
Nei Paesi infetti il controllo si effettua attraverso l’abbattimento e la distruzione dei suini positivi e di tutti gli altri suini presenti all’interno dell’allevamento infetto. Fondamentali sono non solo l’individuazione precoce dell’ingresso della malattia, ma anche la delimitazione tempestiva delle zone infette, il rintraccio e il controllo delle movimentazioni di suini vivi e dei prodotti derivati, le operazioni di pulizia e disinfezione dei locali e dei mezzi di trasporto degli allevamenti infetti, l’effettuazione delle indagini epidemiologiche volte ad individuare l’origine dell’infezione.
Terapia e profilassi
Al momento non esiste un vaccino per la Peste suina africana. Come previsto dal vigente Piano nazionale di sorveglianza e dalle norme di settore, quando si riscontrano uno o più sintomi tali da far sospettare la presenza di PSA in un allevamento di suini, occorre immediatamente darne comunicazione ai servizi veterinari competenti per territorio. Analogamente, quando si rinviene una carcassa di cinghiale nell’ambiente, o a seguito di incidente stradale che abbia coinvolto un cinghiale, è necessario segnalare l’evento ai Servizi Veterinari, alle forze dell’ordine o enti parco, guardie forestali, oppure contattare i numeri verdi regionali.