Washington – Nei giorni scorsi molti volti noti della Silicon Valley (dal fondatore di Facebook Zuckerberg al ceo Google Sundar Pichai) si sono schierati a difesa di Tim Cook, amministratore delegato della Apple che si è rifiutato di aiutare l’Fbi a decriptare l’iPhone dell’attentatore di San Bernardino. Secondo Cook e gli altri un atto del genere sarebbe un “precedente pericoloso” e metterebbe in pericolo la privacy dei cittadini. Per questo suscita stupore la presa di posizione in direzione opposta del fondatore della Microsoft Bill Gates: “Si tratta di un caso specifico – ha detto intervistato dal Financial Times – in cui il governo chiede di avere accesso a informazioni. Non stanno facendo una richiesta generale, questa riguarda un caso specifico”. Pur specificando che servono delle regole precise, Gates ha detto che accedere a un singolo dispositivo non significa avere automaticamente accesso a tutti gli altri, così come entrare in un singolo conto bancario non significa ottenere la chiave per scardinare tutti gli altri. Una posizione opposta da quella di Tim Cook, che nel comunicato stampa con cui annunciò il gran rifiuto della mela all’Fbi, aveva spiegato che anche offrire il codice del singolo dispositivo all’Fbi costituisce un rischio, e che chi sostiene il contrario non comprende le regole della sicurezza informatica. Apple ha inoltre affermato di non essere lei stessa in possesso delle chiavi per accedere ai dispositivi dei propri clienti, e che una “chiave” al momento non esiste. La vicenda sta spaccando l’opinione pubblica negli Stati Uniti, ed Edward Snowden l’ha definita “il più importante caso tecnologico del decennio”. Il dibattito sui limiti reciproci tra sicurezza e privacy ha fin qui visto su due fronti contrapposti il mondo politico (compresa l’amministrazione Obama, in genere in buoni rapporti con la Silicon Valley) e quello di giganti dell’i-tech. Da un lato, la commissione Intelligence del Congresso sta lavorando a una legge bi-partisan per rendere illegale comportamenti come quello di Apple in futuro, e il candidato favorito alle primarie repubblicane Donald Trump è arrivato a chiedere di sabotare i prodotti Apple. Dall’altro, quella di Bill Gates è la prima voce in dissenso in un coro fin qui unanime. Un dissenso tanto più clamoroso se si pensa che pochi giorni fa l’amministratore delegato della stessa Microsoft Satya Nadella aveva fatto capire (pur senza rilasciare dichiarazioni ufficiali) di stare dalla parte di Tim Cook.