ponte morandi tramontoGenova – Riparte questa mattina l’udienza per il processo per il ponte Morandi. Dopo lo sciopero degli avvocati penalisti per chiedere che lo Stato assuma 15 nuovi giudici necessari per il corretto svolgimento dei processi nel Tribunale di Genova, riparte oggi l’udienza per valutare chi è legittimato o meno a costituirsi parte civile nel processo per richiedere il risarcimento dei dannu subiti. Già 700 le “posizioni” al vaglio ma non è escluso che i giudici aumentino ancora la lista, esaminando i vari casi ancora “in dubbio”. Una circostanza che potrebbe dilatare ancora di più i tempi tecnici del processo, con il rischio della caduta in prescrizione di alcuni reati ma che, se omessa, potrebbe limitare o impedire il diritto di tutti i Cittadini a rivolgersi alla Giustizia per ottenere ciò che gli spetta.
Un “equilibrio” che fa parte delle motivazioni della protesta di ieri degli avvocati perché appare ovvio che la mancanza di ben 15 giudici nell’organico del Tribunale non può che significare un rallentamento dei lavori della Giustizia.
Nel processo per il crollo del Ponte Morandi, che ha causato 43 vittime, sono imputate 59 persone fra ex dirigenti di Autostrade e Spea e tecnici ma anche dirigenti (attuali ed ex) del Ministero delle Infrastrutture e del Provveditorato alle opere pubbliche.
Due delle società coinvolte, Autostrade per l’Italia e Aspi, hanno patteggiato l’uscita dal processo versando circa 30 milioni di euro a fronte di danni per diverse centinaia di milioni.
La prima inchiesta potrebbe presto collegarsi alla seconda, attivata pochi giorni fa dalla Procura di Roma, sull’accordo tra lo Stato italiano e Atlantia (società del gruppo Benetton) per volere del Governo, per il trasferimento di quote societarie di Autostrade allo Stato che era già proprietario delle strade stesse. Un accordo per diversi miliardi di euro che lascerebbe in eredità – secondo l’ipotesi di accusa – decine di miliardi di lavori ancora da fare e gran parte dei risarcimenti dovuti per il disastro del ponte Morandi. Un accordo “sospetto” che vede tra le carte sequestrate, anche le rendicontazioni delle spese necessarie per le ristrutturazioni e – sempre secondo le ipotesi di accusa – le prove dei risparmi fatti sulle manutenzioni