Genova – Centinaia di famiglie con bambini disabili attendono da anni l’inserimento nelle strutture per le terapie e prosegue a colpi di comunicati stampa e dichiarazioni il “botta e risposta” che vede contrapposti Regione Liguria, Alisa da una parte e famiglie con bambini disabili ed Enti di Riabilitazione Handicap riuniti nel coordinamento regionale Co.r.e.h dall’altra.
Oggetto del contendere il livello di risposta degli enti pubblici a problematiche gravose e impattanti sul futuro di migliaia di bambini. Con liste di attesa per accedere a terapie in grado di fare la differenza tra una vita da condannati all’emarginazione sociale e lavorativa e la possibilità di recuperare quanto più possibile di una “normalità” fatta di relazioni sociali e di inserimento nel mondo del lavoro.
Le famiglie dei disabili chiedono che vengano rispettate norme e leggi dello Stato mentre c’è “dibattito” sul metodo usato in Liguria per affrontare la situazione.
Il primo a sollevare il problema è stato Marco Macrì, pompiere genovese e padre di un bambino con problemi legati alla sindrome dello spettro autistico, disagio più o meno impattante nella vita di ogni giorno ma insindacalmente inserito nella lista delle disabilità riconosciute.
Con coraggio e abnegazione Macrì ha scoperchiato un “vaso di Pandora” di cui non si riesce a vedere il fondo: solo nella provincia di Genova ci sarebbero centinaia e centinaia (potrebbero essere 1200) famiglie in attesa di veder riconosciuto il loro status (riconoscimento legge 104) e moltissime in attesa disperata da anni di poter accedere alle strutture riabilitative ovvero a quei centri che, attraverso sedute di psicomotricità, neuro-psicologia, logopedia e molto altro ancora, possono cercare di trasformare un bambino completamente “sconnesso” dalla realtà in una persona in grado di avere un suo ruolo attivo, per quanto permessogli dalla malattia, nella società.
In soldoni si parla di permettere a bambini di parlare in modo comprensibile, apprendere a camminare e spostarsi in modo sicuro, domare eccessi di rabbia che conducono ad atti di auto lesionismo e, nei casi più fortunati, imparare a scrivere e leggere, imparare le nozioni di base a scuola e in futuro partecipare in modo attivo alla crescita del Paese con il proprio lavoro (si vedano ad esempio le storie positive di Pizza Aut)
Le strutture esistenti non riescono a coprire il numero di prestazioni richieste dal “mercato”, ovvero dal numero impressionante – ed in continuo aumento – di richieste da parte di genitori con diagnosi redatte da medici specializzati e quindi non oggetto di discussione.
Proteste di piazza e accorati appelli hanno permesso di “sollevare” il problema e scoprire che ci sono in Liguria famiglie che, non potendo accedere alle terapie del sistema sanitario nazionale, affrontano un calvario fatto di quotidiane decisioni tra ciò che si può spendere per mangiare, vestirsi e per le spese non comprimibili e ciò che può essere speso per aiutare i propri bambini.
Il tutto condito dal monito incessante degli specialisti che ripetono ossessivamente che ogni giorno perso nelle cure significa ridurre la possibilità di miglioramento dei pazienti.
Ci sono insomma decine di famiglie che letteralmente non si vestono, non si curano adeguatamente e talvolta limitano il cibo pur di poter pagare le terapie ai propri figli ricorrendo alle strutture private.
Si parla di spese che vanno dai 45 ai 60 euro/ora con la necessità di garantire più sedute settimanali nel corso di tutto l’anno.
Spese alle quali vanno aggiunte quelle per il sostegno scolastico e per le attività “speciali”.
Il Co.r.e.r.h (Coordinamento Regionale Enti di Riabilitazione Handicap) è intervenuto a sostegno delle famiglie con minori con disabilità e bisognosi di cure riabilitative e ha recentemente presentato ricorso al TAR relativamente alla Delibera Alisa n°278 del 20 novembre 2023 dicendosi “fortemente preoccupato per le nuove modalità di prescrizione dei Trattamenti Riabilitativi Sanitari Ambulatoriali che secondo la suddetta delibera dovranno essere tassativamente assegnati secondo “pacchetti” di prestazioni predeterminate in base a tabelle che non tengono conto delle peculiarità individuali”.
Tali modalità riabilitative – secondo i ricorrenti al Tar – non sono sostenute da una metodologia scientifica riscontrabile nella letterature nazionale e internazionale e l’unica motivazione che emerge sembra essere quella di “governare” la spesa e poter prendere in carico più persone con un investimento limitato o non variato.
Secondo i ricorrenti: “le macro aggregazioni di patologie presenti nei pacchetti non permettono una valutazione specifica sulla singola persona. La determinazione della gravità, il bisogno di intervento e la prognosi non possono essere effettuati con così pochi elementi mentre la precocità, l’intensità e la frequenza sono aspetti attribuibili ai bisogni di ogni singolo individuo con disabilità.
Il Coordinamento Regionale Enti di Riabilitazione Handicap considera “inaccettabile una scadenza della presa in carico stabilita intorno ai 15 anni di età laddove il bisogno riabilitativo sia ancora cogente sia per motivazioni cliniche sia per il dovere istituzionale del servizio pubblico in quanto previsto dai Livelli Essenziali di Assistenza, i cosiddetti LEA”.
Sempre secondo il ricorso “i minori con disabilità sono persone a tutti gli effetti con tutti i diritti previsti nella nostra Costituzione e dalle Leggi sanitarie”.
“Crediamo – dichiarano al Coreh – che il ricorso al Tar possa sospendere gli effetti di questa delibera ed avviare un dialogo costruttivo con le figure pubbliche competenti per salvaguardare la salute dei minori che presentano patologie del neurosviluppo e che non possono in nessun modo rinunciare ad una presa in carico totale e qualitativa dei loro bisogni riabilitativi. Ritardi e riduzioni dei trattamenti porterebbero a danni irreversibili”.
E’ bene precisare inoltre che un Tribunale italiano ha già sentenziato che, laddove il sistema sanitario non sia in grado di garantire le prestazioni necessarie, la Asl di competenza deve risarcire per intero le somme anticipate o spese dai familiari per effettuare le terapie in strutture private e a pagamento diretto.
Alle dichiarazioni del Co.r.e.r.h. – Coordinamento Regionale Enti di Riabilitazione Handicap ha risposto Alisa con una nota stampa del 24 gennaio 2024.
“Nessun taglio alle cure o all’assistenza ai pazienti – si legge nel comunicato – ma, al contrario, un aumento della capacità di presa in carico riabilitativa grazie anche ad una maggiore appropriatezza ed equità dell’offerta di prestazioni. La delibera di Alisa n. 278/2023, oggetto di un ricorso presentato dal Coordinamento Regionale Enti Riabilitazione Handicap, definisce i trattamenti riabilitativi in risposta ai disturbi neuropsichiatrici nei minori, con finalità migliorative rispetto alla delibera del 2018. Il documento è il frutto del lavoro dai responsabili delle strutture di Neuropsichiatria delle ASL ovvero medici specializzati in neuropsichiatria dell’Infanzia e adolescenza che Alisa ringrazia per il supporto e il lavoro svolto. Non sono pertanto previsti tagli, né dal punto di vista delle cure e dell’assistenza ai pazienti, né da un punto di vista economico. Si tratta invece di un documento che dimostra come l’aumento della capacità della presa in carico riabilitativa è uno degli obiettivi strategici di Regione Liguria che, infatti, ha stanziato 5 milioni di risorse aggiuntive negli ultimi anni per la neuropsichiatria infantile.
Entrando nel merito delle contestazioni avanzate, solo per fare un esempio, per quanto concerne i disturbi dello spettro autistico nella precedente delibera erano previste ogni anno fino a 60 sedute fino agli 11 anni di età, 40 sedute per la fascia di età successiva. Con la nuova delibera si estende fino a 60 sedute annue anche la fascia di pazienti fino ai 14 anni. Per garantire il principio della personalizzazione e dell’adeguatezza dei percorsi riabilitativi, si prevede, tra l’altro, che potranno essere erogabili (per esempio nel caso delle diagnosi tardive) prestazioni non previste dalle indicazioni per patologia e questi casi saranno oggetto della valutazione del medico neuropsichiatra che ha in carico il minore”.
Alisa si dice sorpresa dell’azione intrapresa contro la delibera e ribadisce che il provvedimento è indubbiamente migliorativo rispetto al precedente documento e sta definendo con i legali, le azioni da intraprendere a sostegno della delibera adottata, delle finalità e dei miglioramenti che saranno garantiti ai pazienti”.
La nota di Alisa ha però suscitato la risposta del COREH ma anche del Gruppo Genova Inclusiva fondato da Marco Macrì.
Il coordinamento regionale Enti di Riabilitazione Handicap risponde:
“Innanzitutto, vogliamo chiarire che i ricorrenti sono in primis famiglie di minori con disabilità alle quali il CORERH si è affiancato per sostegno. L’omissione che trovate nella prima riga non è una persona, ma rappresenta più di 80 famiglie arrabbiate e preoccupate.
L’affermazione dell’aumento della capacità di presa in carico è vera, solo che deriva dalla diminuzione dei trattamenti erogabili a ciascun utente. In realtà non è stata aggiunta una sola ora di trattamento in più. Si sono invece ridotte le possibilità di prestazioni per ciascun utente in base all’età e si è deciso di sospendere formalmente e come regola le attività di riabilitazione funzionale a 14 anni”.
“Se abbiamo ben compreso – scrive il Coordinamento – dai 14 anni ai 18 non ci sono più possibilità di riabilitazione funzionale. Ma ci chiediamo se esiste una percezione reale dei bisogni in termini di modalità, qualità, e frequenza di cui abbisogna un giovane preadolescente con disabilità severa che rischia proprio a questa età di consolidarsi.
Ricordiamo, come già affermato nel ricorso, che contemporaneamente alla stesura della delibera 278 da parte di ALISA, sono uscite vere linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità che dicono esattamente l’opposto. Pertanto che si possa cercare, nel presente e nel passato non esistono linee guida che affermino quanto scritto in delibera.
Il fatto che innanzi a diagnosi tardive possano essere erogate cure non ci sembra una concessione, ma un minimo di risposta dovuta da quello che dovrebbe essere il S.S.R”.
da Marco Macrì di Genova Inclusiva e coordinatore delle famiglie senza cura, riceviamo inoltre questa nota:
“Sentiti alcuni genitori ricorrenti – scrive Macrì – condividiamo il rammarico nell’apprendere la risposta di Alisa e Regione Liguria. Se la Regressione tariffaria é stata bocciata dal Tar , da Consiglio di Stato e dalla Corte dei Conti, del cui esposto son stato promotore , posso dimostrare che minori dopo un attesa media di due anni e mezzo per l’inizio del percorso riabilitativo pubblico gratuito, rischiano di potere beneficiare di un numero di trattamenti annuali insufficienti per potere raggiungere dei significativi obiettivi clinici. La fotografia attuale mostra che alcuni casi a soli 18 mesi dalla presa in carico possano essere dimessi a prescindere dalla complessità diagnostica”.
A corredo della situazione vale la pena sottolineare che, a Genova, è stato creato un “Pala-autismo” ovvero una struttura specializzata nelle problematiche legate ai problemi del neurosviluppo e che questa struttura, avviata con un investimento pubblico tenta coraggiosamente di affrontare una realtà disomogenea, fatta di migliaia di situazioni diverse e non a caso ricomprese nell’ambito di quello che si definisce “spettro” autistico per la pressoché infinita varietà di situazioni e possibili sintomatologie.
Questa struttura si avvale di professionisti che risulterebbero a contratto annuale rinnovabile. Un rapporto di lavoro che “scade” a fine anno e viene rinnovato in quello successivo.
La struttura ha sede nel quartiere del Lagaccio, in zona mal servita dai mezzi pubblici e dove i residenti già faticano a trovare un posto auto.
Qui converge tutta l’utenza della città, da Nervi a Voltri e qui un gruppo di validissime professioniste e volenterosi professionisti affronta le difficoltà diverse di centinaia di famiglie, offrendo incontri che nella migliore delle ipotesi avvengono mensilmente e per la durata di circa un’ora. Quella che – incolpevoli i lavoratori – si potrebbe definire una “goccia nell’Oceano”.
Nei casi “meno gravi” – come lo è un bambino in grado di parlare – le famiglie seguite vengono informate della “fine del periodo di assistenza” dopo circa un anno, ovvero dopo circa 12 incontri. Quale sia il loro “futuro” resta spesso una incognita affidata a risorse umane ed economiche decise altrove.
Ad aggravare la situazione ci sono poi episodi frequenti ed in aumento di professionisti che, in un “mercato” povero di professionalità e ricco di richiesta, si trovano spesso sommersi di proposte di lavoro nel settore privato e spesso accettano (lecitamente) lasciando scoperto il posto e senza più punto di riferimento per le famiglie che con loro avevano instaurato un rapporto di fiducia.
Per non parlare dei disagi subiti dai pazienti che proprio nella difficoltà ad affrontare cambiamenti hanno il fulcro della loro “malattia”.
Fenomeno cui si aggiunge quello di tanti professionisti che, spaventati dalla mole enorme e mostruosa di lavoro, fatto spesso in condizioni non agevoli, lasciano il posto per strutture più piccole.
A farne le spese, senza alcuna volontà di attribuire colpe o responsabilità, sono ovviamente le famiglie e i piccoli pazienti.