Antonio Suetta vescovoSanremo (Imperia) – Fanno discutere le parole del vescovo Antonio Suetta riportate nell’intervista pubblicata da Il Tempo su immigrazione, accoglienza e carità cristiana.
Il vescovo della città dei Fiori, secondo alcuni, sarebbe stato “travisato” nelle sue parole laddove sembra giustificare provvedimenti anti immigrazione e atteggiamento di chiusura verso l’Islam e le altre religioni.
Le parole che più hanno fatto discutere sono quelle riportate nel passo: «L’immigrazione indiscriminata è negativa ovunque e comunque. Non è una buona soluzione per chi accoglie né per chi viene accolto. Un conto è l’emergenza e il pericolo di vita quando si configurino realmente. Non si può tuttavia pensare che l’accoglienza possa limitarsi al solo ingresso in uno Stato o all’assicurazione degli elementi essenziali per vivere. In un contesto sociale vanno fatte valutazioni oggettive considerando l’incidenza del fenomeno su tutti gli aspetti».
Qualcuno vi ha letto infatti una giustificazione a provvedimenti che limitino l’accoglienza che è cosa diversa dal fenomeno dell’immigrazione che si registra in Italia e dove sono pochissimi i Migranti che desiderano restare nel nostro Paese e vogliono invece “transitare” per raggiungere Paesi che hanno politiche (e investimenti) ben più favorevoli per chi decide di ricostruire la propria vita altrove.
Sono pochissimi, infatti, e lo dimostrano gli infiniti tentativi di oltrepassare i confini italiani con gli altri Paesi europei, i Migranti che scelgono di fermarsi in Italia e occorre saper distinguere tra “transito” e “destinazione” laddove la discriminante non è la decisione dei disperati che arrivano in Italia ma la sottoscrizione, da parte del Governo italiano, del Trattato di Dublino che ratificò la decisione di fare in modo che gli immigrato dovessero restare sul territorio di primo arrivo sino alla conclusione dell’iter di riconoscimento dello status di profugo e non si immigrato clandestino. Un percorso che, in Italia, dura non meno di 18 mesi -non a caso il limite previsto per la permanenza nei centro appositamente creati – e molto spesso dura anni per i ricorsi ai Tribunali laddove le decisioni vengono contestate. Un caos che spesso obbliga i migranti, che se ne andrebbero subito verso Francia, Germania e paesi del Nord Europa, a restare anni in Italia, letteralmente contro la loro volontà.
Dunque in Italia non esiste alcun “eccesso” di accoglienza ma, semmai, l’incapacità dei Governi che si sono succeduti, a far cambiare il Trattato di Dublino, ad esempio nell’ottica di una “distribuzione” del peso dell’immigrazione su tutta l’Unione Europea e non solo sui Paesi che, per ragioni geografiche, sono più vicini ai luoghi di partenza.
Resta infatti da capire quale sottile ragionamento possa giustificare la firma di un Trattato e di successivi accordi che confermano la possibilità dei paesi confinanti di “rispedire” i Migranti in Italia laddove non abbiano la documentazione a posto per espatriare.

Nell’articolo, poi, il vescovo di Sanremo Antonio Suetta sembra dichiarare che esista un confine alla Carità cristiana e che accogliere gli immigrati possa avere “un limite” anche laddove si salvino vite umane e si cerchi di offrire un futuro a persone che fuggono da disastri, calamità e guerre mentre nulla di tutto questo emerge dalle parole del vescovo che ovviamente segue la dottrina di Roma e del Papa che ha invece parole di totale e incondizionata apertura alla salvaguardia della vita umana, ovunque essa sia in pericolo o sia minacciata da violenza ma anche da sofferenze causate da carestie, da guerre e da condizioni economiche sfavorevoli. Accogliere dunque, per un Cristiano in linea con la Chiesa è un imperativo e non esiste parola contenuta nel Vangelo e ascoltata da chi frequenta le chiese e può dirsi un buon cristiano, nelle sacre scritture a proposito di un amore “limitato” o di una accoglienza o di un aiuto “ma solo fino a questo limite”.
Si tratta di interpretazioni che, sotto il profilo della Dottrina cristiana sono “eresie” e non possono trovare posto nelle parole di un suo ministro.
Le parole del vescovo, probabilmente fraintese o strumentalizzate, stanno però scatenando roventi discussioni sul web e sui social per via del fatto che politici avrebbero cavalcato le dichiarazioni per giustificare in qualche modo la necessità di porre dei “freni” ad azioni umanitarie e accoglienza. Nulla che possa essere giustificato dalle parole di un vescovo che fa riferimento alla dottrina della Chiesa che non ovviamente non pone limiti alla Carità e non insegna certo che l’aiuto alle persone bisognose possa (o peggio debba) avere delle riserve.
E’ sufficiente citare San Francesco, omonimo del Papa, che si spoglia di ogni bene per aiutare i poveri e che certamente, in vita sua, non ha avuto “limiti” all’amore per il prossimo, anche a suo stesso discapito.
I grandi della Chiesa non hanno mai posto “freni” o “confini” all’amore per il prossimo ed è per questo che sono venerati e considerati sacri da una religione che è Amore e accoglienza e non “calcolo” e “interesse”.
Apparirebbe inaudito un vescovo che, rappresentando la Chiesa, parlasse di limiti all’accoglienza dei bisognosi o di un “confine” oltre il quale il “prossimo” diventa uno sconosciuto da non aiutare.

Un altro passaggio “contestato” e oggetto di feroci confronti tra diverse visioni politiche e ideologiche è quello in cui Suetta sembra aver detto che: “penso che sia necessario distinguere molto bene tra l’ideologia immigrazionista attualmente in voga e l’attitudine della carità cristiana, che mette al centro l’uomo nelle linee essenziali tracciate dalla Dottrina Sociale della Chiesa».
La frase, isolata dal contesto, sembra fornire appoggio e conferma ad alcune scelte – non condivise dal Papa e dalla Chiesa di Roma – di chiusura rispetto a chi arriva in difficoltà, rischiando la morte e le violenze pur di avere una speranza di una vita migliore.
Il vescovo Suetta intendeva certamente dire tutt’altro ed infatti la frase è inserita nel contesto che dice: «non ci si può fermare all’accoglienza solo per situazioni di emergenza. Serve l’integrazione. In una società globalizzata e multietnica è necessario trovare delle modalità che consentano una convivenza pacifica. Io la chiamo la convivenza da condominio: se abitiamo in tanti nello stesso luogo, dobbiamo trovare dei riferimenti comuni che ci consentano di vivere in pace e fare cose buone insieme. Non si può condividere scuola, lavoro, spazi e al tempo stesso avere un atteggiamento ostile rispetto a quelli che sono i tratti identitari del luogo che accoglie”.
Nessun limite, dunque, ma semmai un richiamo alla condivisione di principi comuni che occorrono per costruire insieme agli Immigrati una società migliore.

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