Renato Rinino ladro gentiluomoSavona – Non tutti sanno che ci fu un savonese, Renato Rinino, che si auto accusò del celebre furto-beffa ai danni di Re Carlo d’Inghilterra, quando era ancora il principe di Galles e la sua triste storia d’amore con Lady Diana riempiva le pagine dei giornali di Gossip.
Il caso fece il giro del mondo facendo conquistare a Rinino il titolo degno erede del celebre Arsenio Lupin anche perché, per una fortunata serie di coincidenze, non venne mai punito per quell’incredibile furto.
Era il 24 gennaio 1994 quando Renato Rinino, nato e cresciuto a Savona, riesce a violare l’imponente servizio di sorveglianza di St. James Palace, residenza dell’allora principe Carlo e passando altrettanto incredibilmente per le impalcature installate per i lavori di ristrutturazione in corso, riesce a forzare una finestra, entra nella stanza da letto del futuro Re d’Inghilterra e dopo aver aperto alcuni cassetti di un comò ha rubato un piccolo tesoro fatto di monili ma anche di un carteggio – forse le lettere all’amata Camilla – coperto dal più rigido segreto.
Rinino esce dalla stanza e dal palazzo così come era entrato, beffando l’intero sistema di sicurezza e decine di guardie cui era affidata la vita del futuro Re.
Un colpo che aveva scatenato un terremoto a Palazzo ma anche in tutta la Casa Reale poichè nessuno poteva immaginare che una sola persona, apparentemente sprovvista di complici e di particolari ritrovati, fosse riucita a farsi beffe di guardie del corpo, servizi segreti ed un esercito di militari presenti dentro e fuori del palazzo dove viveva Carlo.
Solo tre anni dopo, e solo quando le tante indagini avviate da Scotland Yard, dai Servizi segreti britannici e dalle forze dell’ordine dell’Interpol erano ormai insabbiate nel “nulla di fatto”, il savonese Renato Rinino si auto denuncia e confessa il colpo assicurando di voler restituire il bottino (e le lettere) in cambio del perdono del futuro Re, della Casa Reale e delle forze dell’ordine britanniche.
Come unica “soddisfazione” Rinino chiede ed ottiene di poter raccontare il fatto e di potersi vantare del colpo e del “titolo” di moderno Arsenio Lupin, il celebre “ladro gentiluomo”.
Rinino scrive un memoriale raccontando per filo e per segno l’incredibile furto ma non riuscirà mai a pubblicarlo perchè un vicino di casa accecato dalla gelosia per una presunta reazione con la moglie lo uccide.
La storia viene comunque raccontata dai giornali dell’epoca ma mai del tutto chiarita, proprio per la morte del protagonista.
Trent’anni dopo, Carlo è diventato re. E la voce di Rinino torna a risuonare, per rivelare la sua verità in un romanzo scritto dal giornalista Fabio Pozzo, a sua volta ligure di Recco.
Nella pubblicazione “Ho rubato al Re d’Inghilterra” il giornalista de La Stampa ricostruisce attraverso documenti d’archivio, materiali d’indagine di Scotland Yard e degli investigatori italiani, cronache giudiziarie, interrogatori e soprattutto il memoriale inedito di Rinino, in cui quest’ultimo svela diversi particolari del furto – che cosa ha visto e cosa ha fatto nell’appartamento reale e quale è stata l’idea che gli ha consentito di scappare dal Regno Unito con la refurtiva e, ancora, come e dove l’ha custodita, evidentemente inseguito e braccato dalle “guardie di sua Maestà difficilmente avranno brancolato totalmente al buio e forse avevano dei sospetti.
Il libro fa rivivere le sue azioni, le sue emozioni e il suo braccio di ferro con le autorità per la restituzione del bottino. Con un colpo di scena finale sulle lettere di Carlo.
La storia dell’incredibile colpo a St. James’s Palace e del suo autore, un personaggio picaresco, sopra le righe e insofferente alle regole, che tra luci e ombre insegue la sua piccola gloria. “Mi vedevo celebrato sui giornali – le sue parole -. Il ladro del secolo! Perchè in fondo avevo sempre pensato di aver diritto a una vita che lasciasse il segno, a qualcosa di grande che avesse fatto parlare di me, a un colpo che avesse stupito il mondo, indipendentemente dai soldi. Che poi, in fondo, a me dei soldi non importava nemmeno così tanto. Non essendo nato ricco, li consideravo solo un mezzo per sopravvivere a una esistenza nata e continuata sghemba”.
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