La Spezia – Mentre proseguono le indagini sul terribile omicidio di Tiziana Vinci, la donna di 54 anni trucidata dall’ex marito, anche Roberta Bruzzone, nota psicologa e criminologa e “volto noto” in Tv commenta la tragica morte e si scaglia contro il malfunzionamento del baccialetto elettronico e i ritardi sulle riparazioni delle anomalie/guasti noti da tempo.
“Un’altra donna uccisa – scrive Bruzzone sulla sua pagina social – Un’altra vita spezzata. Un altro caso in cui lo Stato fallisce e a pagarne il prezzo e’ una donna con il suo sangue versato”.
Secondo la criminologa, infatti Tiziana Vinci “aveva fatto tutto ciò che il sistema le chiede di fare per salvarsi: aveva lasciato la casa, denunciato le violenze, attivato il Codice Rosso”.
Tutte cose che avrebbero dovuto salvarle la vita, lasciandole la possibilità di riscostruirne un’altra altrove, lontano e al sicuro.
“L’ex marito, Umberto Efeso – prosegue Roberta Bruzzone – era stato ammonito, sottoposto al divieto di avvicinamento e persino dotato di un braccialetto anti-stalking. Ma quel dispositivo – l’unico strumento concreto di controllo – da dieci giorni funzionava male sulla base di quanto riportano le principali fonti giornalistiche. Leggo che le anomalie erano note, segnalate, documentate. Nessuno ha però provveduto alla sostituzione”.
E così, sempre restando alle ricostruzioni di Stampa – L’uomo si è mosso liberamente. Ha preso un coltello e sapendo che il dispositivo di segnalazione era in avaria, è entrato nella villa dove Tiziana stava lavorando, ha discusso con lei per l’ennesima volta e l’ha colpita a morte. Poi ha avuto il tempo di lavarsi, cambiarsi, nascondere l’arma e telefonare al 112 per autodenunciarsi.
“Questa non è una “fatalità” – spiega la criminologa – È un fallimento. Un fallimento di sistema che, nel 2025, non può più essere tollerato. Perché ogni volta che un braccialetto non funziona, che una segnalazione resta in sospeso, che la protezione promessa si rivela carta straccia, una donna muore. E insieme a lei muore la fiducia nello Stato”.
“Da anni – prosegue ancora Bruzzone sui social – sappiamo che nei casi di violenza domestica la fase di separazione è quella a più alto rischio. Sappiamo che l’escalation è prevedibile, che il controllo ossessivo e i maltrattamenti sono campanelli d’allarme inequivocabili. Eppure, ancora oggi, continuiamo a proteggere formalmente le vittime ma lasciarle sole nei fatti. Ogni volta che accade, si invoca una “stretta” legislativa, un “rafforzamento” delle misure. Ma non basta scrivere buone leggi se poi non vengono applicate con rigore e tempestività. La tecnologia di monitoraggio serve a poco se non funziona o se nessuno interviene quando smette di funzionare. Nel 2025 non possiamo più accettare che le donne continuino a morire nonostante abbiano chiesto aiuto, denunciato e seguito le procedure. La responsabilità individuale dell’assassino è fuori discussione, ma qui c’è anche una responsabilità collettiva: quella di uno Stato che, ancora una volta, non è riuscito a fare il proprio dovere fino in fondo”.
In chiusura del post sui social arriva l’accusa di Bruzzona: “Tiziana Vinci non è morta solo per mano di chi l’ha colpita, ma anche per mano di un sistema che avrebbe dovuto proteggerla e non l’ha fatto”.
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