Genova – Potrebbero ricorrere in Cassazione e dunque non finiranno subito in carcere i tifosi del Genoa accusati di associazione a delinquere, estorsione e violenza privata nei confronti della società di Enrico Preziosi.
I tifosi sono accusati di aver chiesto e ottenuto oltre 350mila euro per “calmare la tifoseria” durante i periodi di contestazione alla Società nel periodo tra il 2010 e il 2017.
Denaro che, secondo l’ipotesi di accusa, confermata dal verdetto di Appello ma comunque ancora non definitiva, veniva versato dal Genoa attraverso falsi pagamento per servizi erogati da una delle tante aziende che gravitano attorno allo Stadio Luigi Ferraris.

Tre tifosi sono stati condannati dal presidente del tribunale del Riesame Massimo Cusatti ma la decisione non è immediatamente esecutiva e i tre non finiranno in carcere perché gli avvocati possono ricorrere in Cassazione.

Altri cinque indagati hanno invece l’obbligo di dimora e il divieto di allontanarsi da casa e di avvicinarsi allo stadio di Marassi.

Secondo le ipotesi investigative, sin qui confermate dalle decisioni dei giudici ma non ancora definitive, gli indagati avrebbero chiesto e ottenuto grosse somme di denaro per pacificare la tifoserie più “accesa” ed evidentemente controllata da pseudo gruppi organizzati, nei momenti in cui scattavano pesanti contestazioni alla società o per i risultati sul campo.
Indagi i partite dopo una serie di aggressioni ai danni di giocatori e allenatori a seguito di risultati deludenti per la squadra.

Circostanze che gettano ancora una volta una luce sinistra sui rapporti tra tifoserie e gruppi malavitosi e che meriterebbero indagini ben più estese e approfondite alla ricerca di altri “rapporti opachi” tra Società calcistiche in genere e gruppi di tifosi organizzati.

Secondo l’accusa il Genova avrebbe versato oltre 350mila euro, tra il 2010 e il 2017 a società prestanome che poi fingevano di pagare per servizi mai prestati, i tifosi coinvolti nelle indagini.