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Foto intime pubblicate senza consenso sul gruppo Mia Moglie, indagini

Mia moglie gruppo Facebook Ci sono anche parecchi liguri tra gli iscritti al gruppo Facebook Mia Moglie accusato di diffondere foto intime e quasi certamente senza consenso di donne in atteggiamenti intimi o comunque poco vestite. La denuncia arriva dal movimento No Justice, no peace che ha scoperto che oltre 30mila persone risulterebbero iscritte al gruppo che pubblicherebbe anche foto di revenge porn, ovvero immagini private, scattate ad ex mogli, ex fidanzate o ex compagne e che vengono rese pubbliche per una sorta di “vendetta” a seguito della rottura del rapporto o la separazione.
Il gruppo, dopo la denuncia del movimento No Justice no peace sta perdendo rapidamente iscritti e dagli iniziali 34mila ed oltre oggi, mercoledì 20 agosto ne conta poco più di 32mila ma le forze dell’ordine potrebbero risalire a tutti gli iscritti piuttosto facilmente se fosse un magistrato a chiederlo.
Gli estremi ci sono tutti. Le immagini private sono condivise per lo più da uomini ed esiste il ragionevole sospetto che si tratti di iniziative non consensuali e che le immagini possano riguardare davvero le mogli o, peggio, ex, che potrebbero non essere neppure al corrente del fatto che il proprio compagno o ex stia diffondendo le immagini private, esponendo le donne ad una gogna mediatica e comunque alla violazione delle più elementari regole della privacy.
A rendere ancora più grave la situazione il fatto che i volontari di No Justice no peace denunciano che tra gli iscritti risulterebbero anche agenti di polizia, militari, provessionisti, avvocati, medici e insegnanti che dovrebbero conoscere le norme in vigore e dovrebbero essere ancora più attenti e cauti nel violare leggi con conseguenze penali.
Lo scopo del gruppo sarebbe molteplice: c’è chi condivide immagini private perché “scambista” o comunque d’accordo con la propria compagna, chi crede di poter eccitare altri uomini mostrando immagini anche hot ma anche persone in cerca di una qualche forma di vendetta e che postano le immagini con profili falsi nella (errata) convinzione di non poter essere identificati.
In realtà, in questi casi, si incorre in un reato specifico che ricade sotto la denominazione di “revenge porn” (in italiano vendetta a luci rosse) e che viene punito con la reclusione. Inoltre, dopo l’eventuale condanna, il responsabile può essere chiamato a risarcire la vittima con somme anche molto considerevoli per via dell’effetto a catena che la diffusione delle immagini sul web può avere.
Senza contare che sono già numerosi i casi di suicidio di donne e ragazze che hanno scoperto che le immagini nelle quali sono riprese in situazioni e contesti privati, sono state diffuse in ogni parte del mondo.

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