Genova – Ridurre i costi della politica. I genovesi avevano risolto il problema già nel Seicento quando i rampolli delle nobili famiglie diventavano “ambasciatori” senza percepire alcuno stipendio ed erano costretto addirittura a pagarsi le spese di viaggio durante le “trasferte” presso re e Papi.
All’ombra della Lanterna sono state inventate le Banche e i primi “assegni” circolavano quando Re e Regine viaggiavano nel resto d’Europa con casse di monete “al seguito”. Una lungimiranza e praticità che si rispecchiava anche nell’organizzazione politica e diplomatica.
Al tempo, infatti, chi rappresentava la città presso le corti d’Europa non solo non venica stipendiato ma erano a suo carico persino le spese di viaggio per spostarsi da Genova sino alla destinazione indicata nella “missione” e l’ambasciatore si pagava vestiti, vitto e alloggio e stipendi di coloro che lo seguivano (e servivano) durante gli spostamenti.
E’ pur vero che rappresentare la città presso reali e Papi donava un prestigio immenso e spesso apriva le porte ad accordi commerciali piuttosto vantaggiosi (o permetteva di prestare denaro a nobili casati) ma nello stesso periodo, in altre città, gli incarichi istituzionali erano lautamente compensati e, se non altro, i genovesi avevano già inventato i “tagli alla spesa politica”.
A Palazzo Spinola, nobile dimora di patrizi genovesi, oggi sede della Galleria Nazionale e di un magnifico museo, sono conservate alcune tele che ritraggono Agostino Pallavicino in partenza per diverse “missioni diplomatiche” e ogni quadro è accompagnato, nella documentazione custodita a palazzo, dal resoconto delle somme spese persino per le vesti.
Nel 1621, Agostino Pallavicino viene inviato presso Papa Gregorio XV e il nobile si fa ritrarre con indosso una magnifica veste in seta rossa che certamente avrebbe suscitato l’invidia di più di un cardinale romano. Un “vezzo” rendicontato nei minimi particolari come era usanza dei nobili genovesi. Ancora oggi possiamo sapere quanto era stato speso per la “missione romana”. Quasi una sorta di resoconto cui fare riferimento in un molto probabile caso di “contropartita”.
Quello ospitato a Palazzo Spinola non è il dipinto originale, opera di Anton Van Dyck, celebre pittore fiammingo ma una “copia” di Anton Maria Piola. L’originale è esposto al Paul Getty Museum di Los Angeles, venduto nell’Ottocento.
Sempre a Palazzo Spinola, nel nuovo percorso espositivo, è custodita una tela, opera di Domenico Fiasella, che ritrae Agostino Pallavicino con le vesti di Doge, dopo l’elezione alla più alta carica politica della Repubblica di Genova, nel 1637.
Il dipinto è interessante per diversi motivi e certamente ricorda che, all’epoca, Pallavicino riceve come appannaggio per l’incarico biennale, la somma equivalente ad acquistare ben due navi.
Una somma enorme che, però, Pallavicino spende nelle sole celebrazioni per l’incarico ottenuto.
E comunque, all’epoca, il Doge doveva anche provvedere ad arredare e rendere “vivibile” l’enorme Palazzo Ducale, la dimora dove restava praticamente “recluso” per tutta la durata dell’incarico, essendo proibito al Doge uscire.
Era consuetudine infatti, che il Doge uscente portasse via da palazzo tutti gli arredi, gli oggetti d’uso comune e persino “la carta da parati”.
Per questo motivo, ancora oggi, si usa dire “passare la prima notte da Doge” per indicare un momento di grande disagio e di privazioni.