cinghiali parco Maggiolina La SpeziaLa Spezia – Ancora in stallo la vicenda delle due famigliole di cinghiali rinchiusi da giorni nel parco della Maggiolina. Gli animali non possono essere alimentati per effetto dei divieti e attendono da giorni che si decida del loro futuro.
In corso una complessa trattativa tra enti per decidere se, come previsto dalla normativa, debbano essere abbattuti o se, invece, si debbano catturare in modo incruento e poi liberare nei boschi, lontano dall’abitato, come vorrebbe il sindaco Peracchini e il folto numero di ambientalisti che sin dalle prime ore sorveglia i cinghiali nel timore di un’azione di forza che conduca all’abbattimento.
A rendere probabilmente impossibile la liberazione è soprattutto la nuova emergenza peste suina che vieta in modo tassativo lo spostamento di animali potenzialmente infetti da una zona all’altra del territorio. Se emergesse un contagio, infatti, per tutte le persone coinvolte nell’operazione di rilascio scatterebbero denunce e potenziali cause in Tribunale per il risarcimento dei danni causati.
Nel frattempo uno dei cucciolotti di cinghiale è stato trovato morto e sul decesso è in corso un approfondimento delle forze dell’ordine e della Asl.
Se i primi cercano di appurare se davvero si tratti di uno dei cuccioli rinchiusi da qualche giorno nel Parco – esistono infatti dei dubbi motivati dall’apparente differenza di età tra i cuccioli – i secondi sono più preoccupati che il cucciolo possa aver manifestato i sintomi della peste suina.
La speranza di un rilascio resta appesa ad una “interpretazione” delle normative diffusa dall’Osservatorio Savonese Animalista secondo cui la famigliola di cinghiali di La Spezia, rinchiusi da giorniì vanno catturati e liberati nei boschi poiché la legge sulla caccia proibirebbe la “immissione” di cinghiali nell’ambiente ma non la reimmisione/trasferimento.
Secondo l’Osservatorio, infatti “la norma era stata introdotta nel 2005 all’interno della Legge 221 (collegato ambientale), all’articolo 7 dal titolo “Disposizioni per il contenimento della diffusione del cinghiale nelle aree protette e vulnerabili e modifiche alla legge n. 157 del 1992“ ed aveva lo scopo di impedire che continuassero le immissioni di cinghiali acquistati da allevamenti italiani e stranieri da parte di cacciatori, cioè di animali NON appartenenti all’ambiente; qui, come nel caso di altre catture si tratta di animali già presenti e liberi nell’ambiente e ad esso appartenenti, che vanno quindi semplicemente spostati a monte”.

Secondo OSA sarebbe inutile e crudele catturarli e poi ucciderli. Si tratta di animali intelligenti e sensibili (non meno dei cani), che tengono memoria del trauma subito e che probabilmente “non torneranno più ed è inoltre possibile che trasmettano ai compagni di branco un messaggio di pericolo associato alla zona di cattura”.

Secondo l’Osservatorio, comunque “la vera soluzione dell’allontanamento degli ungulati potrebbe invece essere quella di costringere le squadre locali dei cacciatori-cinghialisti, con i propri cani debitamente a guinzaglio, a sorvegliare periodicamente gli alvei dei torrenti e spingere i branchi verso i boschi, rendendo quindi le periferie cittadine inavvicinabili ai selvatici”.

Anche nel caso in cui prevalesse l’interpretazione suggerita dagli Ambientalisti sulla normativa, però, resta da superare lo scoglio della possibile infezione da peste suina.
In caso di rilascio dei cinghiali, infatti, qualora fossero infetti, si accenderebbe un focolaio di peste suina che potrebbe avere conseguenze disastrose.
I responsabili rischierebbero pesanti condanne e potrebbero essere chiamati a pagare risarcimenti per somme colossali.
Nel frattempo prosegue il braccio di ferro tra enti preposti e la mobilitazione degli ambientalisti che diffondo sui canali social appelli alla massima attenzione e a organizzare la sorveglianza H24 dei cinghiali, nel timore di un blitz per abbattere tutti gli animali o il trasferimento in aree di addestramento cani da caccia. Certamente la fine più terribile per i poveri animali.

 

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