Nada CellaGenova – C’è un ultima speranza, salvo clamorosi colpi di scena, per tentare di risolvere il caso dell’omicidio di Nada Cella, la ragazza di Chiavari uccisa nel maggio del 1996 nello studio del commercialista per cui lavorava. Il pubblico ministero Gabriella Dotto ha infatti presentato un lungo ricorso contro l’archiviazione delle nuove indagini che hanno riguardato ancora una volta la persona che già ai tempi dell’omicidio era entrata e velocemente uscita dalle indagini.
Analoga richiesta è stata presentata per gli altri due indagati, il commercialista dove lavorava Nadia Cella e la madre, indagati per falsa testimonianza e per aver nascosto alle forze dell’ordine elementi che avrebbero potuto dare una svolta alle ricerche di testimoni che ora risulterebbero irreperibili.
Sono trascorsi quasi 28 anni dall’omicidio e i familiari della ragazza ancora attendono di sapere chi sia l’assassino e perché abbia agito anche se le recenti ricostruzioni hanno fornito un quadro probatorio vago nel supporto delle prove ma che è quantomeno verosimile.
Nadia Cella si sarebbe trovata nel posto sbagliato, nel momento sbagliato e con le persone sbagliate. Una gelosia potrebbe essere l’elemento scatenante mentre una intricata serie di “insabbiamenti” potrebbe aver giovato all’assassino per riuscire a sfuggire alle sue responsabilità.
Ora la nuova richiesta di riaprire ancora il caso si concentra su alcuni punti chiave: da un lato la anomala gestione delle indagini, con l’alibi dell’unica indagata mai verificato appieno, i curiosi e sospetti silenzi di persone vicine agli ambienti religiosi dove l’unica indagata è cresciuta ed è stata aiutata a rifarsi una nuova vita dopo le indagini e alcuni elementi davvero bizzarri come il mancato inserimento tra le prove da esaminare dei bottoni trovati in casa dell’unica indagata e che sarebbero uguali a quello trovato sul luogo del delitto e, ancora, i testimoni che chiamano in forma anonima per fornire elementi che potevano essere preziosi ma che non vennero mai “cercati” seriamente.
Tutti elementi che avevano già portato alla riapertura del caso ma che poi non si sono trasformati in prove. Nessun passo avanti per la ricerca dei Dna, nessun testimone si è fatto avanti o è stato identificato, e, soprattutto nulla sembra legare in modo indiscutibile l’unica indagata e la vittima.
In caso di accoglimento del ricorso il caso verrebbe nuovamente riaperto ma, a meno di colpi di scena, si ritroverebbe la situazione precedente, con tanti elementi che spingono in una direzione ma nessuna prova ad inchiodare il presunto colpevole. E per la giustizia italiana la colpevolezza va provata al di la di ogni ragionevole dubbio. Circostanze che, nel caso dell’omicidio di Nada Cella a Chiavari, al momento sembrano mancare.