Genova – Si terrà il 6 febbraio 2025 la prima udienza, in corte di Assise, del processo per l’omicidio di Nada Cella, la ragazza di 24 anni uccisa barbaramente il 6 maggio del 1996 a Chiavari, nell’ufficio dove stava lavorando. Un omicidio rimasto senza colpevole per quasi 28 anni e che forse solo ora verrà risolto con una condanna.
Prima, però, il prossimo 2 dicembre, si terrà un altro appuntamento fondamentale nella vicenda, quello dell’udienza che selezionerà le prove che potranno essere oggetto di esame e discussione durante il processo.
Oltre alle prove raccolte nelle prime e sommarie indagini, oggi duramente criticate, si discuterà della ammissibilità di molti altri elementi che non vennero presi in considerazione all’epoca o che sono emersi nel frattempo. In particolare si discuterà sul ritrovamento, fatto a suo tempo dai carabinieri, di bottoni simili a quelli trovati sul luogo del delitto, in casa dell’attuale indagata, già entrata (e subito uscita) dalle indagini. Una “svista” su cui pesano i dubbi visto che il materiale non venne mai consegnato alla polizia che conduceva le indagini, pare per volere del magistrato dell’epoca.
Verranno valutate anche le testimonianze di una nomade, ora deceduta e del figlio, che dissero di aver visto l’indagata nella zona del delitto ed ancora la telefonata di una testimone, rimasta anonima, che chiamando la madre del commercialista dove lavorava la vittima, raccontò di aver visto l’indagata uscire “sporca” dall’ufficio dove avvenne il delitto. Una telefonata chiave se si scoprisse l’autore che oggi potrebbe essere però deceduto.
Tra le prove che potrebbero essere ammesse anche la dichiarazione dell’avvocato dell’indagata all’epoca del primo coinvolgimento poi archiviato e che, intervistata, dichiarò che la sua assistita aveva solo la colpa di essere stata vista nel giorno del delitto, collocando di fatto l’attuale indagata nella zona dove avvenne l’omicidio mentre lei ha sempre dichiarato di essere stata da tutt’altra parte, a fare le pulizie in uno studio dentistico.
Altro “mistero” che sarà oggetto di analisi e verifica il fatto che il dentista indicato, quello dove l’indagata si sarebbe trovata per le pulizie mentre Nada Cella veniva uccisa, non sia mai stato ascoltato nelle prime indagini ed oggi non ricorda dell’indagata.
Un cold case davvero particolare e ricco di misteri che potrebbero spiegare – come no – i 28 anni di silenzio su un omicidio brutale e di fatto trattato con superficialità sino al colpo di scena della criminologa Antonella Delfino Pesce che, raccogliendo nuove prove, ha di fatto permesso la riapertura del caso e l’individuazione dell’attuale indagata uscita forse troppo in fretta dalle prime indagini.
In attesa di scoprire magari chi o quale “organizzazione” abbia di fatto permesso questa catena di errori, restano le tante perplessità sul caso che forse vedrà una soluzione con il nuovo processo.