Roma – A meno di un mese dal referendum consultivo sulle trivelle (17 aprile, ndr), a promuovere a gran voce il “sì” è Greenpeace, che attraverso il proprio rapporto “Trivelle fuorilegge” denuncia la presenza di sostanze chimiche inquinanti e pericolose, con un forte impatto sull’ambiente e sugli esseri viventi, in prossimità di piattaforme offshore presenti nel Mar Adriatico.
I dati forniti da Greenpeace parlerebbero di una contaminazione da sostanze chimiche andata ben oltre i limiti previsti dalla legge. Il dato più preoccupante è che questa violazione dei parametri di legge si sarebbe verificata per la quasi totalità delle piattaforme, con una percentuale del 79% registrata nel 2014.
“Il quadro che emerge è di una contaminazione grave e diffusa” – ha spiegato Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace.
“Se esistono dei limiti fissati dalla legge, le trivelle molto spesso non li hanno rispettati” – ha poi aggiunto Ungherese, sottolinenando come “ci siano contaminazioni preoccupanti da idrocarburi policiclici aromatici e metalli pesanti, con molte di queste sostanze che sarebbero in grado di risalire la catena alimentare fino a raggiungere gli esseri umani”.
“Nei pressi delle piattaforme monitorate si trovano abitualmente sostanze associate a numerose patologie gravi, tra cui il cancro” – ha infine aggiunto Ungherese, concludendo con una presa di coscienza di quanto il problema venga sottovalutato.
“Questa situazione si ripete di anno in anno e, malgrado tutto, non risulta che siano state ritirate licenze, revocate concessioni o che il Ministero abbia preso altre iniziative per tutelare i nostri mari”.
Risalirebbe infatti a luglio 2015 la richiesta di Greenpeace al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare di ottenere i dati di monitoraggio delle piattaforme presenti nei mari italiani tramite istanza pubblica di accesso agli atti. L’esito della richiesta avrebbe però portato, secondo Greenpeace, ad un buco nell’acqua: i dati forniti avrebbero infatti delineato un quadro limitato degli impianti presenti nell’Adriatico e denuncerebbe anche una scarsa attività di monitoraggio e controllo governativo sulle azioni delle trivelle e sulle conseguenze ambientali derivanti dalla loro attività.
“Con questo rapporto dimostriamo chiaramente che chi estrae idrocarburi nei nostri mari inquina e lo fa oltre i limiti imposti dalla legge senza apparentemente incorrere in sanzioni o in divieti” – ha dichiarato Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace.
“Ciò che a nessun cittadino sarebbe concesso, è invece permesso ai petrolieri, ed è motivo più che sufficiente per spingere gli italiani a partecipare al prossimo referendum sulle trivelle del 17 aprile e votare “sì” “.