Genova – 22 anni fa, l’11 gennaio del 1999, moriva a Milano Fabrizio De André, stroncato ad appena 58 anni da un tumore.
La morte di Faber ha lasciato un grande vuoto nella musica italiana, privata del poeta degli ultimi, un cantautore capace come pochi di mostrare la bellezza e la poesia degli emarginati.
Considerato uno dei fautori del rinnovamento musicale italiano, a De André appartiene a quella Scuola Genovese che tanto bene ha fatto al panorama musicale del Belpaese, regalando cantautori che hanno posto le basi della nuova musica italiana.
La poetica e la musicalità di De André, d’impatto avvicinabili e di facile ascolto, nascondono al loro interno una complessità che si svela man mano che si entra in confidenza con il brano, arrivando a cogliere anche le più piccole sfumature strumentali.
Attraverso le composizioni di Faber, come era solito chiamarlo Paolo Villaggio, è impossibile non ritrovarsi immersi nelle immagini che l’artista racconta attraverso le sue liriche.
Basti pensare al brano “La Città Vecchia” per essere di colpo sopraffatti dalle immagini pensando agli angoli “nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”, per ritrovarsi circondati dalle architetture dei vicoli di Genova, animate dai volti che Faber ha sempre descritto con una pietà unica, rendendo di fatto più visibili le vere bruttezze perpetrate negli ambienti da salotto.
Una carriera partita con “La canzone di Marinella” interpretata da Mina ma che può trovare il suo personalissimo riassunto, una sorta di testamento musicale, nell’ultimo disco composto insieme a Ivano Fossati, “Anime Salve”.
Su tutte, “Smisurata Preghiera” sembra essere preludio al distacco che sarebbe arrivati di li a poco, dedicando una preghiera a tutto coloro che Faber ha sempre amato.
Scrisse di lui Fernanda Pivano: “Non doveva andarsene, non doveva. E’ stato il più grande poeta che abbiamo mai avuto”.