autostrada A15 incidente
Immagine di repertorio

Genova – Nel giorno in cui a Genova riprende il processo per il crollo del Ponte Morandi, le associazioni dei familiari delle Vittime della Strada tornano a chiedere a gran voce una modifica della legge perché non vengano applicati “doppi sconti di pena” agli imputati.

“Bisogna modificare la legge – ha sottolineato Alberto Pallotti, presidente dell’Aufv, l’Associazione Unitaria Familiari e Vittime Odv – non è possibile che in un processo per omicidio stradale gli imputati vengano condannati a pene irrisorie grazie ai riti alternativi, agli sconti di pena e al concordato in appello. Non si può poter usufruire dello sconto di pena per aver scelto il rito abbreviato e poi di un ulteriore sconto perché si è proceduto ad applicare il ‘Concordato in appello’. Non è giusto nei confronti delle vittime e dei loro familiari”.

Il timore dei familiari delle vittime è che durante il processo per il crollo del viadotto autostradale della A10 si verifichi quanto accaduto nel procedimento giudiziario a carico di Pietro Genovese, il ventenne che a Roma ha investito e ucciso due sedicenni: Gaia Von Freymann e Camilla Romagnoli. Dopo aver usufruito del Concordato in appello ed essere stato condannato a cinque anni, Genovese è tornato in libertà.

Pallotti prosegue: “Il caso Genovese non è il solo. Una cosa simile si è verificata anche al processo nei confronti di Janos Varga, l’autista ungherese del bus schiantatosi contro un pilone dell’autostrada a Verona, dove sono morte 17 persone, quasi tutti studenti in gita. Entrambi i casi dimostrano che il problema dei riti alternativi, degli sconti di pena e del ‘concordato in appello’ è reale”.

“La legge dell’omicidio stradale – prosegue – che ci pone all’avanguardia mondiale della lotta alle stragi stradali, prevede pene importanti. Ma non servono a nulla, se poi vengono vanificate da sconti e riti premiali tali da svilire il concetto con il quale questa legge è stata introdotta nel nostro ordinamento”.

L’avvocato Davide Tirozzi, legale dell’Associazione, fa chiarezza spiegando che nell’ordinamento italiano sono previsti riti alternativi a quello ordinario quali, per esempio, i patteggiamento. “Quest’ultimo non è altro che una sorta di accordo tra l’imputato e il PM – spiega Tirozzi – per concordare la pena finale. In questo accordo l’unico soggetto che può avere voce in capitolo è il giudice, mentre le parti civili no. Da qualche anno, per snellire i tempi processuali, è stato reintrodotto anche il Concordato in Appello che è una sorta di patteggiamento formulato in fase di Appello. Si tratta di un accordo tra il PG e l’imputato, che rinuncia ai motivi di appello non andando a sindacare sulle responsabilità del fatto, mentre non riconosce la pena e quindi va rideterminata con un nuovo conteggio”.

Tirozzi aggiunge anche che può capitare quindi che la pena venga ulteriormente rimodulata in Appello a seguito del patteggiamento e si verifichi anche uno sconto della pena fino a un terzo”.

Le associazioni dei parenti delle vittime della strada chiedono che venga rimossa la possibilità di godere di questo sconti durante il processo.

“Non è accettabile – conclude Pallotti – che pene di 18 anni vengano ridotte a 6 anni di reclusione, E’ inconcepibile. Non si patteggia con la morte”.