Strasburgo (Francia) – Una vera e propria linea diretta quella che negli ultimi mesi lega l’Italia alla Corte Europea di Strasburgo, che già nel gennaio scorso aveva prima condannato l’Italia ad un maxi risarcimento per la questione del “sangue infetto” (clicca qui per articolo) e poi intimato al nostro Paese di agire – e in fretta – per garantire i diritti civili fondamentali anche alle coppie omosessuali (clicca qui per articolo).
E’ invece di oggi la notizia che la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (Cedu, ndr), con sede a Strasburgo, ha provveduto a procedere in via ufficiale con una condanna a danno dell’Italia, per il caso legato ad Abu Omar, l’imam di origine egiziana rapito nel febbraio 2003 da alcuni agenti della Cia e messo sotto tortura in Egitto.
L’imam, accusato nel 2003 di “associazione con finalità terroristiche internazionali”, era a capo della moschea milanese di Via Quaranta al momento del rapimento ed era finito sotto la lente d’ingrandimento della Procura milanese proprio per i suoi possibili legami con cellule terroristiche e per la sua pericolosità.
Abu Omar sarebbe stato poi condannato a 6 anni di reclusione solo nel 2013, e prima di lui, nel 2005, subirono condanne di vario genere anche gli agenti della Cia coinvolti nell’indagine della Procura milanese.
Nonostante queste premesse di natura giuridica, l’Italia torna ad essere nell’occhio del ciclone della Cedu, la quale entra a gamba tesa nella questione e condanna il nostro Paese per aver secretato per oltre 8 anni i documenti e gli sviluppi del processo che ruotava intorno alla figura di Abu Omar.
A fronte dell’apposizione del segreto di Stato da parte dei diversi Presidenti del Consiglio e dei ministri dell’Interno italiani avvicendatisi tra il 2005 e il 2013, risulterebbero 5 i diritti della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ad essere stati violati, a partire dalla “proibizione di trattamenti umani e degradanti” e del “non garantito diritto alla libertà e sicurezza” fino ad arrivare al “mancato diritto a un equo processo”, al “mancato diritto a effettivi rimedi giudiziari” ed al “non garantito diritto alla vita familiare”.