Manila – E’ passata una settimana dalla sua elezione, m all neo presidente delle Filippine Rodrigo Duterte ha le idee chiare in fatto di ordine e sicurezza e non vuole perdere tempo.
Proprio il neopresidente ha annunciato di voler reintrodurre la pena di morte, sospesa nel 2006, e di volerla estendere ad una serie di reati che vanno dal traffico di droga allo stupro.
Un pugno di ferro che Duterte non ha mai nascosto in campagna elettorale ma che è stato accompagnato dall’apertura politica nei confronti dei ribelli comunisti del centro sud che il neo presidente vorrebbe integrare al governo, cercando di porre fine alla guerriglia che, ad oggi, conta 40mila morti in 40 anni.
Il 71enne presidente filippino, durante una conferenza stampa a Davao, città in cui è stato sindaco per oltre vent’anni, ha dichiarato: “Chi distrugge le vite del mio popolo sarà ucciso. Chi distrugge le vite dei miei bambini sarà distrutto. Nessun compromesso, nessuna scusa.”, poi si riferisce al traffico di droga: “Ho promesso di salvare le prossime generazioni dal male rappresentato dalle droghe” ha detto, parlando in proposito del problema delle metanfetamine e dei crimini ad esse legati. L’idea di Duterte è quella di istituire due milizie armate da dislocare sul territorio provincia per provincia, proposta che sarà sicuramente salutata con entusiasmo dal suo elettorato ma che, inevitabilmente, riporta alla mente le squadre di vigilantes a cui si devono imputare almeno 1700 esecuzioni sommarie, avvenute proprio negli anni della sua guida come sindaco.
Nella storia delle Filippine, arcipelago a maggioranza cattolica, la pena di morte, nel corso degli anni tra il 1987 ed il 2006 è stata abolita, successivamente reintrodotta ed infine nuovamente sospesa. Duterte, già in campagna elettorale, si era detto favorevole all’impiccagione, meno alla fucilazione, ritenendo fosse un metodo più disumano ed uno spreco di munizioni.
La seconda proposta del nuovo leader è quella di affidare delle cariche governative ad alti esponenti del partito comunista filippino. Anche questa apertura non giunge completamente inaspettata. Guardando agli anni alla guida di Davao, Duterte ha avuto modo di comprendere quali sono le aspirazioni dei ribelli la cui lotta sembra sempre più essere un residuo storico che sta perdendo vigore.