Roma – Il 12 aprile tornerà al cinema la commedia degli equivoci, che dal teatro greco in poi ha sempre attratto ed affascinato il pubblico, per la sua capacità di far sorridere e riflettere allo stesso tempo. A sfruttarla è questa volte il regista esordiente Simone Godano, che decide di farsi conoscere dal grande pubblico con un film divertente e impegnativo, anche per gli stessi protagonisti, Kasia Smutniak e Pierfrancesco Favino, dal titolo “Moglie e Marito“. Lei è una conduttrice televisiva, lui un neurochirurgo con velleità da scienziato, stanno insieme da dieci anni, un figlio appena nato e uno già grande. Sempre più vicini alla crisi, iniziano una terapia di coppia per cercare di salvare il salvabile della loro relazione, ma, durante uno dei tanti esperimenti di Andrea (Favino), qualcosa non va come dovrebbe, e i due coniugi si scambiano, letteralmente, il corpo, mantenendo immutata la propria personalità. Dopo lo smarrimento iniziale, i due iniziano a provare a non far ricadere l’incidente sulla vita professionale di entrambi, anche se andare in ospedale senza essere medico, e tentare di condurre un programma televisivo avendo solo nozioni di neurochirurgia risulta decisamente complicato per entrambi, generando situazioni che lasciano spazio a qualche risata.
L’aspetto principale del film, però, vuole essere l’analisi di quanto sia difficile riuscire ad immedesimarsi completamente nei panni dell’altro, e di quanto sarebbe necessario per appianare le divergenze e scoprire le reali intenzioni che si nascondono dietro agli atteggiamenti che spesso non riusciamo a comprendere.
Durante la conferenza stampa dedicata al film, lo stesso Favino ha commentato così la sua interpretazione: “Improvvisamente diventi la tua compagna: è un casino. Il giorno dopo devi andare a lavorare, hai delle cose importantissime da fare: è un dramma totale. Ho pianto come mai nella mia vita, ho urlato, mi sono strappata i capelli”. Subito dopo, afferma anche che, avendo la garanzia di poter tornare indietro, vorrebbe poter fare l’esperienza di mettersi nei panni della sua compagnia, per capirla e rispettarla in maniera ancora più completa.
Per la Smutniak, che si è dovuta calare nei panni di un uomo, l’interpretazione ha richiesto uno sforzo mentale e fisico importante, per evitare di cadere nel grottesco rendendo comunque credibile il disagio di una donna privata della sua femminilità.