Roma – La Corte di Cassazione ha stabilito che “per il saluto romano va contestata la legge Scelba sull’apologia del fascismo e in particolare l’articolo 5”. E’ la decisione presa dalle sezioni unite della Suprema Corte a proposito del processo per otto militanti di estrema destra che avevano compiuto il saluto, riconducibile al periodo fascista, del braccio destro alzato durante una commemorazione politica, nel 2016, a Milano.
Le Sezioni Unite della Cassazione erano chiamate ad affrontare la questione dopo che la prima sezione penale aveva trasmesso, nel settembre scorso, atti al fine di sciogliere un nodo interpretativo sul saluto fascista.
Secondo la decisione dei magistarti ricorre quanto previsto dall’articolo 5 della legge Scelba ovvero: “Chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da duecentomila a cinquecentomila lire.
A chiarire ulteriormente la interpretazione che deve essere fatta la Corte di Cassazione afferma che “la “chiamata del presente” o “saluto romano” è un rituale evocativo della gestualità propria del disciolto partito fascista, ed integra il delitto previsto dall’articolo 5 della Legge Scelba, ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”.
Secondo i giudici della Suprema Corte, poi, in determinate condizioni “può configurarsi anche la violazione della legge Mancino che vieta manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. I due delitti possono concorrere sia materialmente che formalmente in presenza dei presupposti di legge”.