Genova – Potrebbe arrivare un primo colpo di scena, questa mattina, a Palazzo di Giustizia, nel primo appuntamento con il processo per l’omicidio di Nada Cella, la ragazza di 24 anni trucidata nel maggio del 1996 nell’ufficio dove lavorava, a Chiavari.
Nella prima giornata verranno infatti scelte le prove che potranno essere portate all’attenzione dei giudici che dovranno decidere se l’attuale impiegata, già entrata ed uscita rapidamente dalle precedenti indagini, sia colpevole o meno del delitto.
L’attenzione potrebbe concentrarsi anche sulle telefonate, intercettate all’epoca dei fatti, nelle quali la madre del commercialista Marco Soracco, indagata con il figlio per falsa testimonianza e per intralcio alle indagini, ammette con la zia di sapere che il figlio aveva chiesto a Nada Cella di non passarle più le telefonate dell’attuale indagata.
Un particolare che potrebbe essere “chiave” per dimostrare che tra l’indagata e la vittima ci poteva essere un forte attrito e che quel comportamento indotto dalla richiesta di Soracco, potrebbe aver fatto pensare all’indagata che fosse in realtà Nada Cella a “scegliere” di non passare le telefonate.
Una tessera che andrebbe ad incastrarsi nel mosaico, ancora tutto da dimostrare e provare, secondo cui ci sarebbe stata una “rivalità” tra le due giovani donne, sia sul fatto di occupare un posto di lavoro che un “posto” nel cuore del commercialista.
Se poi questo possa aver scatenato l’omicidio è altra e ben più complessa faccenda.
Le prove dovranno dimostrare anche che l’indagata poteva aver materialmente compiuto l’omicidio visto che la difesa sosterrà, come ha già fatto, che si trovasse in tutt’altro luogo all’orario del delitto.
Da un lato ci sarà la deposizione del dentista presso cui l’indagata sostiene di aver lavorato come addetta alle pulizie, che non fu ascoltato all’epoca del delitto, e che sembra non ricordi di aver visto la donna, e dall’altra la testimonianza di una donna ormai deceduta e del figlio invece ancora vivo e la telefonata registrata ma mai identificata, di una donna che rivela alla madre di Soracco, di aver visto l’imputata vicino al luogo del delitto, all’orario nel quale potrebbe essere avvenuto e “sporca”.
Avranno un ruolo anche i bottoni, simili a quello trovato insanguinato sul luogo del delitto, in casa dell’indagata e mai inserito tra gli elementi d’accusa.
Tutti elementi, però, che sembrano portare in una direzione ma che, presi singolarmente, non sembrano condurre univocamente e senza alcun dubbio verso la colpevolezza.
Per questo l’evoluzione del processo desta grande interesse e potrebbe nascondere altri colpi di scena.