frana corso PerroneGenova – Terreni e fasce abbandonate sulle alture di Quezzi sono un pericolo potenziale per la città. E’ l’allarme lanciato dai Geologi della Società italiana di Geologia Ambientale della Liguria.
In caso di piogge di estrema intensità possono rappresentare aree di instabilità superficiale.

“Il 27% del bacino idrografico del Fereggiano è stato modificato mediante terrazzamenti un tempo impiegati per le pratiche agricole di sussistenza – spiega Guido Paliaga, presidente della Società Italiana Geologia Ambientale sez. Liguria – quei terrazzamenti oggi possono rappresentare aree di instabilità superficiale in occasione di piogge di estrema intensità. E’ un dato che viene fuori dalla studio condotto con alcuni geologi dell’Università di Genova. Dunque sulla parte alta abbiamo terrazzamenti che sono in stato di abbandono e che potrebbero rappresentare un problema in caso di eventi estremi. Dalle cartografie elaborate per questo studio emergono la geomorfologia antropica dell’area e l’evoluzione del costruito.

L’edificazione fino alla metà del ‘800 risultava sparsa – hanno spiegato i geologi – interessando solo le parti medio/alte del bacino idrografico, ovvero quelle più idonee alle pratiche agricole e meno esposte ai fenomeni di allagamento o all’accumulo di corpi di frana. Successivamente, e in particolare a partire dall’inizio del ‘900, l’edificazione ha interessato le parti pianeggianti del bacino fino a saturare ogni spazio disponibile: il torrente è stato confinato da argini che ne hanno ristretto l’alveo ed è stato ampiamente coperto. L’ultimo chilometro del Fereggiano risulta coperto per l’80%
Il consumo di suolo nella parte bassa del bacino è pressoché totale, mentre alla scala di bacino idrografico raggiunge il 19%, essendo bilanciato dal ridotto o nullo consumo della parte alta.

“La situazione della piccola valle del torrente Fereggiano è paradigmatica dell’intero territorio ligure e di molte zone del Mediterraneo: piccoli bacini idrografici di elevata pendenza media, intensamente costruiti nella parte bassa, con torrenti spesso coperti anche per lunghi tratti e una parte alta che conserva caratteri di naturalità.
Le criticità geo-idrologiche che lo riguardano sono dunque le stesse che interessano i territori simili: esposizione al pericolo rappresentato da alluvioni rapide (flash flood) e diffusi fenomeni di instabilità superficiale dei versanti. In caso di piogge intense i due effetti si potrebbero sommare mettendo a rischio di intasamento le spesso già inadeguate capacità di flusso delle coperture dei torrenti.

Le frane superficiali a sviluppo rapido sono tra i fenomeni più pericolosi.

“Durante le piogge intense – ha proseguito Paliaga – detriti e coperture, tra cui sono compresi i terrazzamenti, possono diventare fluidi e colare rapidamente verso il basso, con velocità anche di qualche metro al secondo. Il potenziale distruttivo risulta così amplificato proprio dalla velocità di spostamento. Esempi recenti di fenomeni di questo tipo non mancano a scala locale: basta ricordare quanto avvenuto alle 5 Terre nel 2011 (oltre 200 frane a Vernazza causarono la movimentazione di circa 100.000 m3 dai versanti verso il borgo), la frana di Leivi che nel 2015 uccise due persone spazzando via la loro casa, e il viadotto di Madonna del Monte sull’A6 nel 2019”.

Quali soluzioni? E’ necessario intervenire a più livelli: effettuare un continuo monitoraggio del territorio: conoscere le condizioni, in continuo mutamento è il primo passo per mitigare il rischio; realizzare una scala di interventi di prevenzione oltre che di rimedio di situazioni critiche: intervenire ad esempio su un dissesto lungo una strada ai primi sintomi e non attendere che questo arrivi al collasso con il conseguente aumento dei danni e dei costi di intervento; fare un piano di interventi sparsi sul territorio, alla scala di bacino idrografico, secondo un principio di manutenzione ordinaria. Un bacino idrografico deve essere considerato alla stregua di un organismo: ciò che accade in una parte del bacino, comporta conseguenze alle parti sottostanti, quindi occorre considerarlo nel suo insieme.
Il principio guida degli interventi dovrebbe essere quello di cercare di agire in modo coerente con quello dei processi naturali e non di contrasto con questi, impiegando anche le NBS – Nature Based Solutions (come si sta facendo con il progetto RECONECT a Portofino www.reconect.eu) che comprendono anche l’ingegneria naturalistica che ad esempio può essere utilmente impiegata per stabilizzare i terrazzamenti che rischiano di collassare o zone soggette a frane superficiali, le sponde di torrenti, etc”.

Il contrasto ai cambiamenti climatici passa anche attraverso queste azioni”.

“In questi anni tanto è stato sicuramente fatto ed in particolare è stato realizzato lo scolmatore, una galleria nella quale vengono incanalate, in caso di piena, le acque del Fereggiano, e vengono scaricate direttamente a mare. Dunque lo scolmatore consente di mitigare la pericolosità idraulica ma questo non basta perché a monte dello scolmatore ci sono i versanti che sono in gran parte trascurati con terrazzamenti abbandonati. Terrazzamenti – ha affermato Paolo Airaldi, Presidente Ordine dei Geologi della Liguria – in parte invasi dal bosco, abbiamo masse detritiche che incombono lungo versanti acclivi. Su queste masse e sui versanti non ci sono interventi in corso di esecuzione. Questi terreni, nel momento in cui ci sono eventi piovosi intensi, potrebbero raggiungere condizioni di criticità statiche mai raggiunte in precedenza”.

E proprio nei giorni scorsi Società Italiana Geologia Ambientale, Ordine dei Geologi della Liguria e Università di Genova, avevano dato vita ad un tour aperto alla stampa, sui luoghi dell’alluvione del 4 Novembre del 2011.

“Quella del Fereggiano è una valle di mulini dove la loro funzione era legata ad un territorio terrazzato per scopi agricoli che però ha subito un’urbanizzazione figlia delle mutate condizioni socio – economiche e dunque edifici – ha dichiarato poco fa Francesco Faccini, geologo dell’Università di Genova infrastrutture ma anche restringimenti e coperture. Secondo i geologi bisogna fare tante cose. Ad esempio interventi strutturali che sono quelli in corso come lo scolmatore ma è importante operare anche attraverso interventi non strutturali come di monitoraggio e manutenzione di un territorio alterato da processi antropici e interventi di formazione e di informazione della popolazione. L’alto bacino mantiene ancora le caratteristiche di naturalità nonostante le modifiche del territorio che comunque ci sono, mentre la parte terminale dove il bacino è stato pesantemente modificato anche con restringimenti del corso d’acqua”.