Rimini – Cozze raccolte sui piloni delle piattaforme petrolifere e vendute sul mercato “regolare”. L’allarme arriva da Greenpeace che ha scoperto su un rapporto dell’Eni uno strano rapporto in essere tra le piattaforme petrolifere nel Mare Adriatico e alcuni pescatori.
Secondo la denuncia di GreenPeace, infatti, alcuni pescatori regolarmente autorizzati, raccoglierebbero dalle piattaforme petrolifere in mare aperto, le cozze che crescono sui piloni immersi anche a grande profondità e le rivenderebbero sul mercato.
GreenPeace si dice preoccupata per quanto scoperto poiché i mitili raccolti finiscono nei piatti degli italiani e non è chiaro a quali controlli vengano sottoposte considerando che le piattaforme petrolifere possono rilasciare nell’ambiente sostanze pericolosissime per la salute umana e non solo.
“Molte delle sostanze rinvenute da ISPRA nelle cozze raccolte presso le piattaforme di ENI sono note per essere cancerogene – afferma Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace – Sostanze come il cadmio e il benzene sono inserite nel gruppo 1 dello IARC (l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro delle Nazioni Unite), ovvero tra le sostanze il cui effetto cancerogeno sull’uomo è certo».
D’altra parte, ENI dichiara che “a salvaguardia di quest’area marina [quella in cui sono raccolte le cozze] vengono effettuati monitoraggi periodici da parte delle Capitanerie di Porto, delle ARPA competenti, di ISPRA e CNR-ISMAR”. Greenpeace ha quindi chiesto all’ARPA Emilia Romagna informazioni sui dati dei monitoraggi delle cozze raccolte presso le piattaforme. È urgente avere conferma che le cozze che finiscono nei piatti degli italiani non siano gravemente contaminate come quelle degli studi presentati da ENI al Ministero dell’Ambiente.
“Chiediamo un rapido intervento delle autorità competenti affinché sia garantita trasparenza – prosegue Ungherese -E, se necessario, chiediamo che si attuino tutte le misure necessarie per tutelare la salute e la sicurezza alimentare dei consumatori italiani”.
Secondo la denuncia di GreenPeace, inoltre “come minimo, se esistono dati che garantiscono i consumatori sulla sicurezza delle cozze raccolte e vendute in Emilia Romagna, essi non coincidono con i preoccupanti risultati dei monitoraggi che ISPRA ha condotto per conto di ENI. Greenpeace ritiene che su questi temi sia necessaria la massima attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità, ancor più alla vigilia di un referendum sul quale sembra essere calato un preoccupante silenzio”.
“Molti tra quanti vorrebbero garantire lunghissima vita alle trivelle nei nostri mari affermano che è tutto a posto, perché entro le 12 miglia si estrae soprattutto gas, una fonte molto meno inquinante del petrolio – afferma Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace – Eccoli smentiti: i dati di ENI confermano che le piattaforme a gas inquinano, eccome. E da quanto apprendiamo, questi inquinanti rischiano di finire sulle nostre tavole, nei nostri piatti. Un motivo in più per fermare le trivelle votando Sì al referendum del 17 aprile”.