Genova – Indagini sulla pistola calibro 22 usata per l’omicidio avvenuto il 25 aprile, alle 18, in via Polleri e con la quale Filippo Giribaldi, camallo di 42 anni, ha ucciso Manuel Di Palo, 37.
Secondo la testimonianza dell’assassino, l’arma sarebbe stata trovata tempo prima al Parco del Peralto e tenuta per “difesa” dopo una rapina nel centro storico.
L’arma presenta la matricola illeggibile e si cerca di risalire alla sua “storia” per accertare il racconto fatto da Giribaldi che sostiene di averla avuta con se per caso.
L’ipotesi, infatti, è che la tragica lite che ha condotto alla morte di Di Palo possa essere premeditata.
Giribaldi ha ammesso le sue responsabilità davanti al magistrato che segue il caso ed ha ammesso di aver fatto uso ripetutamente di crack prima di recarsi nella zona del Carmine, sotto all’abitazione della compagna insidiata, secondo il racconto dell’ex militante del movimento No Vax genovese, da Di Palo e da un altro uomo. Secondo l’indagato per omicidio, infatti, Di Palo avrebbe offerto dosi di droga per soggiogare la compagna di Giribaldi e sarebbe stata quest’ultima a chiedere al camallo di allontanare Di Palo dalle sue frequentazioni.
La lite sarebbe scaturita prima con un altra persona e poi, quando Giribaldi ha sparato un primo colpo di pistola contro un muro, a scopo intimidatorio, Di Palo, ex militante di Casa Pound con alle spalle una condanna per aver accoltellato un militante antifascista che attaccava manifesti, sarebbe sceso in strada a far valere le sue “ragioni” innescando la lite mortale.
Quattro i colpi sparati da Giribaldi per strada. I primi contro i muri per cercare di intimidire gli avversari ed uno solo, diritto al petto, per uccidere Di Palo.
L’arma è stata poi gettata sotto una macchina posteggiata in piazza Bandiera per poi rifugiarsi nella basilica dell’Annunziata per chiedere al custode di chiamare la polizia e confessare l’omicidio.