Genova – E’ attesa per la giornata di oggi la sentenza per il processo per l’omicidio di Javier Miranda Romero, l’impresario edile peruviano ucciso con una freccia scagliata dall’artigiano genovese Evaristo Scalco. La corte di Assise di Genova è chiamata a decidere se condannare l’artigiano al massimo della pena, l’ergastolo, o se invece accogliere la tesi difensiva secondo cui Scalco non voleva uccidere ma solo “spaventare” e che il tragico tiro con l’arco andò ben oltre le intenzioni.
Una valutazione complessa visto che le due parti in causa hanno presentato ai giudici elementi opposti e contrari e che dipingono Evaristo Scalco ora come un razzista arrabbiato per il degrado portato a suo dire dagli stranieri nel centro storico e ora come un uomo che ha perso la testa e che ha lanciato una freccia con lo scopo di intimidire sbagliando clamorosamente l’obiettivo.
A pesare contro l’artigiano i futili motivi che hanno portato all’omicidio: una lite per presunti schiamazzi che la vittima, in compagnia di un amico avrebbero fatto per festeggiare la nascita del figlio, e il fatto che Evaristo Scalco scese in strada dopo essersi reso conto di aver colpito al torace la vittima e, secondo il racconto di testimoni, cercò di estrarre la punta della freccia ben sapendo che il tipo di arma provoca lesioni terribili proprio muovendosi tra le carni. Un tipo di freccia che già di per sè, all’atto della scelta, non lascia scampo alla vittima.
Cosa è successo nella notte tra il 1 e il 2 novembre del 2022 è stato ampiamente chiarito durante il processo ma non altrettanto è stato fatto per le “intenzioni” delle parti in causa.
Non è sufficientemente chiaro, infatti, se la lite sia avvenuta per motivi di razzismo o se invece ci fu “aggressione” (lancio di petardi nell’abitazione dell’imputato) ed una reazione spropositata e forse imprevista.
Di certo c’è che l’artigiano sa tirare con l’arco e, nella scelta dell’arma, difficilmente poteva non essere consapevole di scagliare una freccia potenzialmente mortale, anche in caso di errore.