Genova – Nuove speranze per i malati di Parkinson grazie a nuove ed efficaci terapie usate su pazienti in cura presso l’ospedale Galliera.
Claudio Marcello Solaro, direttore di Neurologia del Galliera assieme alla sua équipe composta da Laura Strada e Ivan Bonanni e la coordinatrice infermieristica Micol Favara che gestisce l’ambulatorio dei disturbi extrapiramidali, a distanza di poche settimane, hanno potuto confermare l’efficacia di tali terapie sui pazienti in cura presso la struttura.
La malattia di Parkinson è una patologia frequente età-correlata (colpisce circa una persona su 800). La sua incidenza è purtroppo in aumento in tutti i Paesi industrializzati. E’ più frequente dopo i 60 anni, ma esistono forme ad esordio giovanile, anche prima dei 35 anni. La fase avanzata della malattia è caratterizzata dalle fluttuazioni sia motorie, sia non motorie: nel corso della giornata le persone vivono momenti “buoni”, nei quali emotivamente stanno bene, non hanno dolore e riescono a muoversi in modo efficace, e momenti “non buoni”, nei quali sono rigidi, bloccati e non in grado di muoversi normalmente, o di camminare bene.
In questi momenti (fasi OFF), si possono avere anche dei disturbi di ordine psicologico, come ansia immotivata, tristezza, angoscia, oppure dolore e sensazione di fame d’aria. Sono anche possibili discinesie, ossia movimenti involontari incontrollabili che si presentano durante la giornata, per cui il paziente vive una condizione molto penosa di continuo e poco prevedibile mutamento, come se fosse sulle montagne russe.
Presso l’ambulatorio per la malattia di Parkinson e i disturbi extrapiramidali si lavora per trovare la migliore terapia (orale e/o in cerotto) allo scopo di risolvere e minimizzare queste fluttuazioni, ma non sempre ciò è possibile per tutti i pazienti.
«Abbiamo iniziato ad utilizzare pompe per infusione sottocutanea continua che, ruducendo le fluttuazione dei livelli ematici dei farmaci, minimizzano le fluttuazioni indesiderate – spiega Solaro – . Al Galliera è possibile la prescrizione di infusione sottocutanea di foslevodopa/foscarbidopa e di apomorfina. La terapia viene avviata in Ospedale, ma consente al paziente di autogestirsi poi a domicilio, dopo adeguato training, migliorando significativamente la propria qualità di vita e indipendenza».
La pompa, poco più grande di un cellulare, è collegata alla cute (generalmente dell’addome) tramite un tubicino nel quale viene erogato il farmaco. Sulla pelle è applicata una lancetta flessibile millimetrica in silicone con un cerotto.
Per la buona riuscita di questa terapia è indispensabile identificare correttamente il paziente che ne ha bisogno e accompagnarlo con attenzione e professionalità nell’apprendere la gestualità necessaria ad eseguire correttamente l’infusione, evitando le possibili complicanze.
«Il primo paziente è stato trattato nel mese di luglio con successo – aggiunge la Dott.ssa Strada – . Dopo I primi due mesi di follow-up, I riscontri sono molto positivi e mostrano come questa nuova modalità di somministrazione sia molto promettente per alcuni soggetti con malattia di Parkinson».