Indianapolis – Nonostante fosse scampata alla pena di morte, dopo che le era stata commutata in 60 anni di carcere, poi scesi a 27 per dimostrata buona condotta, Paula Cooper la morte ha deciso di infliggersela lei stessa. La donna divenuta simbolo della lotta alla pena capitale si è infatti suicidata ieri, all’età di 45 anni a Indianapolis. Il corpo senza vita di Paula è stato trovato dalla Polizia che ha parlato di probabile suicidio.
Paula Cooper divenne nel 1986 la più giovane detenuta in un braccio della morte, dopo essere stata condannata alla pena capitale per omicidio di primo grado, compiuto con alcune complici quando aveva solo 15 anni, la cui pena venne poi commutata con la reclusione in seguito ad una mobilitazione internazionale.
L’11 luglio 1986, con altre tre ragazze (Denise Thomas, 14 anni, Karen Corder, 16 anni, e April Beverly, 15 anni), come lei tutte afroamericane e minorenni, accoltellò a morte un’anziana insegnante di studi biblici, Ruth Pelke, di 78 anni, colpendola 33 volte a scopo di rapina.
La Cooper fu l’unica ad essere condannata alla pena di morte, mediante sedia elettrica. In virtù della giovane età e del contesto razziale, ci fu una mobilitazione internazionale per salvarle la vita, a cui aderirono papa Giovanni Paolo II, la comunità di Sant’Egidio, Nessuno tocchi Caino e Amnesty International. Per NTC, gruppo del Partito radicale contro la pena capitale, fu molto attivo il militante Paolo Pietrosanti.
Nel 1988 la Corte suprema proibì la pena capitale ai minori di 16 anni al momento del crimine, e la decisione fu ripresa dalla Corte suprema dell’Indiana, che commutò la pena in ergastolo, poi in 60 anni di carcere.
Dopo 26 anni circa di prigione, la Cooper è stata scarcerata sulla parola il 17 giugno 2013.