Santa Margherita Ligure – Il 26 maggio scorso, durante una battuta di pesca ai gamberoni su un fondale di circa 700 metri di profondità, il peschereccio Impavido di Santa Margherita ha salpato nelle reti 4 anfore romane. Con encomiabile senso civico il comandante Gianni Paccagnella ha denunciato immediatamente il rinvenimento archeologico al locale Ufficio Circondariale Marittimo.
E’ stata quindi informata la competente Soprintendenza che, a seguito di una prima analisi dei reperti, ha disposto la custodia delle anfore presso i laboratori dell’Area Marina Protetta di Portofino, al fine di provvedere alle necessarie e preliminari operazioni conservative.
Considerate inoltre le difficoltà di affrontare con successo e in tempi brevi la ricerca del relitto sulla scorta delle sole informazioni desunte dal percorso di pesca dell’Impavido, un tracciato GPS lungo una decina di miglia, la stessa Soprintendenza ha contattato Guido Gay, con grande esperienza nel campo delle ricerche marine in altofondale.
Con una sola scansione sonar eseguita sulla traccia del comandante Paccagnella, si è riusciti a localizzare un’anomalia compatibile con l’obiettivo ricercato; successivamente con l’ausilio del ROV Pluto Palla, innovativo veicolo subacqueo filo-guidato di produzione Gay Marine, è stato scoperto a 720 m di profondità il cumulo di anfore testimone del naufragio; tra le anfore non sono stati avvistati né i gamberoni rossi, nè i gronghi loro predatori, ma una grossa rana pescatrice che sventolava la sua esca e un misterioso “pesce spillo” faceva capolino ai margini di un’inquadratura.
Grazie alla scoperta delle coordinate del sito è stato possibile infine da parte della Capitaneria di Porto di S. Margherita l’emissione di una specifica ordinanza di tutela volta a preservare l’integrità del giacimento archeologico.
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La storia
Le dimensioni del cumulo desunte dalla scansione sonar permettono di ricostruire le dimensioni del relitto, un’imbarcazione da carico di circa 25 metri di lunghezza con un carico stimabile intorno alle 2.000-2.500 anfore. Si tratta quindi di una nave oneraria con una capacità intorno alle 100-150 tonnellate, che rappresenta la stazza media delle navi onerarie romane dedicate al commercio del vino italico tardo-repubblicano.
Il carico è costituito principalmente da anfore del tipo Dressel 1b, classico contenitore del vino romano prodotto nell’Italia centrale tirrenica tra la fine del II ed il I secolo a.C.; grazie alle anfore recuperate dal comandante Paccagnella inoltre, possiamo sapere qualcosa di più sull’origine e la destinazione delle merci trasportate, e sulla datazione del naufragio. Alla base delle anse delle anfore di S. Margherita leggiamo dei bolli formati da due lettere (BC, BH, KI): si tratta di codici legati alle varie fasi di produzione del contenitore (anno di fabbricazione, numero di infornata ecc.) che contraddistinguono le produzioni della Toscana meridionale, e in particolare della zona di Albinia e dell’Argentario. In questa importante zona vinicola si concentravano i latifondi dei Domizi Enobarbi, grande famiglia dell’aristocrazia senatoria a cui appartiene il console Cneo Domizio, generale romano che nel 121 sconfisse le tribù galliche degli Arveni e degli Allobrogi. Non è un caso quindi che proprio questi bolli si concentrino nella Gallia centrale, area geografica dove si svolsero le guerre condotte da Domizio e, con ogni probabilità, mercato di destinazione del vino trasportato dal nostro relitto attraverso l’antica rotta di cabotaggio ligure.
Le immagini del ROV Pluto Palla hanno inquadrato inoltre alcuni esemplari di anfore olearie di origine brindisina: anch’esse smerciate in Gallia nei decenni centrali del I sec. a.C. insieme alle vinarie toscane, rappresentano un carico complementare attestato anche in altri relitti liguri coevi come il Dedalus 21, scoperto ancora una volta dall’ing. Gay al largo dell’isola del Tino, e il relitto Albenga B, oggetto di recenti studi e di attività di valorizzazione da parte della Soprintendenza.
La tutela dei relitti in altofondale
L’emissione da parte delle Capitanerie di Porto di specifiche ordinanze volte alla tutela di questi relitti, grandi giacimenti di anfore che nascondono e proteggono i resti lignei delle antiche navi da carico e le loro attrezzature di bordo, nasce dalla necessità di far conoscere la posizione di questi antichi luoghi di naufragio, che corrono continuamente il rischio di essere sconvolti dalle attività di pesca a strascico.
L’individuazione dei siti è importante non solo per gli studi degli archeologi sulla storia della navigazione e dei commerci antichi, ma soprattutto per segnalare ai professionisti della pesca la loro posizione in modo che, confidando nella civile correttezza e nelle capacità che contraddistinguono la nostra marineria, siano messi nelle condizioni di trainare le loro reti evitando di intercettare e causare danni irreparabili ai giacimenti archeologici.
I cumuli di anfore sono anche luoghi di riproduzione dei gamberi rossi e di numerose altre specie. La distruzione dei loro nidi comporta pertanto, oltre alla perdita del patrimonio archeologico, anche il depauperamento del patrimonio ittico, a tutto svantaggio della stessa pesca professionale.
E il nostro patrimonio vale certamente di più di qualche cassetta di gamberoni.