Genova – Verrà quasi certamente riascoltato dagli inquirenti che indagano sul crollo di Ponte Morandi e sulla morte delle 43 persone precipitate dal viadotto, l’indagato che avrebbe pronunciato frasi giudicate molto importanti per stabilire finalmente cosa abbia fatto crollare il ponte.
Marco Vezil (Spea) è al telefono con Carlo Casini, responsabile della sorveglianza Utsa di Genova quando si ipotizza, senza sapere che sono sotto intercettazione delle forze dell’ordine, che il ponte Morandi potrebbe essere crollato perché uno dei “cassoni” avrebbe ceduto dopo le infiltrazioni d’acqua che avrebbero corroso i cavi interni.
L’intercettazione risalirebbe al 25 gennaio del 2019 e Vezil è tra gli indagati per i falsi report sui viadotti autostradali.
Gli agenti in ascolto registrano la conversazione tra i due:
“O che il cassone ha mollato, perché metti che le campane, metti la sfiga che sulle campane ci percolava dell’acqua che entra in soletta, te l’hanno corroso, vuum (rumore con cui Casini simula il crollo del ponte, ndr), ha mollato subito, e mollando subito è venuto giù perché… certo che se effettivamente… lo strallo… perché che cosa può essere successo? Può essere successo che, a un certo punto, il cassone comprimeva e a un certo punto ha mollato!”.
L’ipotesi non sorprende Vezil che ammette poco dopo che “lì siamo deboli, perché non andavano, nel cassone…”.
La conversazione proseguirebbe con Casini che replica che gli ispettori di Spea “non potevano andarci”.
Di qui il sospetto degli inquirenti che, dal 2013, nessuno dei tecnici che avrebbe dovuto farlo, è più entrato nei cassoni per ispezionarli e verificare eventuali infiltrazioni d’acqua che potrebbero aver corroso l’acciaio dei cavi di sostegno causandone il cedimento.
Ipotesi che “chiarirebbe” le cause del crollo del ponte.