Nel ventennale dei tragici fatti del G8 di Genova, del luglio 2001, il giornalista genovese Giovanni Mari, della Redazione del quotidiano Il Secolo XIX, pubblica “Genova, vent’anni dopo” e racconta il summit e gli scontri di piazza che hanno cambiato per sempre la sua città e l’Italia.
Il libro, edito da People e disponibile in tutte librerie ripercorre i vari fallimenti che hanno connotato quell’esperienza, rendendola unica e irreversibile: il fallimento degli otto Grandi, del governo italiano, dell’intelligence, delle forze dell’ordine, della politica italiana tutta, e poi ancora della magistratura, dei mass media e, infine, anche del movimento noglobal.
Una sconfitta che pesa su tutti.
Questo libro è un sincero e amaro giudizio di valore che, a distanza, parla del bisogno di una dolorosa rielaborazione che conduca passo passo a una verità difficile.
Il contributo di Mari getta una luce diversa sulla lettura di quel terribile snodo che ha verosimilmente segnato la rappresentanza politica e le dinamiche di piazza di questo Paese nel nuovo Millennio, e lo fa restituendo voce alla sua città, a quella Genova che per troppi ha fatto solo da sfondo ai fatti di quei giorni.
«Sulle macerie del G8, neppure ha vinto Genova, con i suoi sforzi e i suoi atti eroici, con le sue strade distrutte e inzeppate di sangue, con i suoi splendidi palazzi ristrutturati. Restano solo singole vittorie private, di chi era per quelle piazze, in quei giorni, da una parte e dall’altra dell’ingombrante e orrenda barricata: porterà sempre con sé una verità e una piaga immacolate, anche se non tutti potranno ammetterlo. Così può solo aver vinto una concezione di Genova: Genova intesa come un senso intimo di appartenenza. Di conoscenza della realtà, della verità.»
Il contenuto
A distanza di 20 anni il G8 di Genova si può storicizzare, si può dare un giudizio. E Mari esprime otto giudizi: tutti raccontano di un fallimento. Fallirono i capi di stato e i manifestanti, i governi, la politica, l’intelligence, le forze dell’ordine, la magistratura, i media. Un giudizio che, ovviamente, non dimentica di elencare i fatti del vertice: la morte di Giuliani, i disordini, le cariche della polizia, la “macelleria messicana” alla Diaz e a Bolzaneto.
Però. Bush, Prodi e gli altri capi di stato, “passarono come fantasmi a Genova senza toccare temi fondamentali dell’agenda come la povertà, l’Aids, l’acqua e l’ambiente”. Fallirono i governi di D’Alema e Berlusconi: l’uno perché scelse Genova quando già era chiara la contestazione, il secondo perché si preoccupò solo delle mutande stese imprigionando la città nella zona rossa.
“Fallì l’intelligence – scrive Mari – che non si accorse dei segnali o non fu in grado di farsi ascoltare”, fallirono le forze dell’ordine “sbagliando strategie e tattiche e abbandonando di fatto una città intera al suo destino”.
Quello di polizia e carabinieri fu un naufragio eclatante, ma le responsabilità non si devono cercare nei singoli; bensì nel vertice: in quella stretta cerchia di comando che ha scambiato un servizio d’ordine pubblico per un fatto di guerra.
Fallì la politica, con il centrodestra che impegnata solo nella caccia “alle zecche comuniste”, e il centrosinistra incerto come al solito, oppure ridotto a tifoseria. Fallì la magistratura “che alzò un polverone sulle forze dell’ordine e poi lasciò correre le prescrizioni”.
“Fallimmo noi giornalisti – scrive ancora Mari -, troppo prudenti nel raccontare una drammatica sospensione della democrazia”.
E fallì anche il movimento: “Oggi sappiamo che quelle istanze erano giuste, perché sono tremendamente attuali. Ma quella piazza ha regalato la lotta per i beni comuni al populismo e la lotta alla globalizzazione al sovranismo xenofobo”.
La parte centrale del libro riguarda ovviamente lo scontro di piazza, con la scellerata operazione tra via Tolemaide e piazza Alimonda vissuta istante per istante. Il capitolo più doloroso? Quello sull’irruzione alla Diaz, “quando una forza pubblica colpevole cercò di difendersi raccontando un mare di menzogne”.
Bio
Giovanni Mari, giornalista genovese, ha seguito dal primo momento la preparazione politica, militare e militante del G8 del 2001. In quei giorni e in quelle notti è stato cronista in piazza per Il Secolo XIX, il giornale della sua città: poi non ha mai smesso di occuparsene. Per lavoro si è successivamente dedicato con attenzione particolare allo scontro tra i partiti, appassionandosi allo studio della propaganda politica. Per vent’anni ha trattenuto dentro di sé un forte dolore per ciò che era accaduto intorno al vertice.