Chiavari – Potrebbe arrivare tra una ventina di giorni la decisone della Procura di Genova riguardi alla possibilità di rinviare a giudizio Annalucia Cecere, unica indagata per l’omicidio di Nada Cella, la segretaria uccisa brutalmente, nel 1996, nello studio del commercialista Marco Soracco. Venti giorni di tempo nei quali le parti in causa potranno decidere di chiedere di essere ascoltati per rendere dichiarazioni spontanee da aggiungere alle indagini che hanno ripercorso passo per passo tutte le ricerche fatte 27 anni fa arricchendole di elementi nuovi.
La prova regina non ci dovrebbe essere. Le ricerche condotte sui campioni di DNA non avrebbero fornito elementi dirimenti e non inchioderebbero nessuno, il processo si farebbe comunque sommando tanti piccoli indizi che, per portare ad una condanna per omicidio, dovrebbero essere concordanti visto che Annalucia Cecere era già stata coinvolta nelle indagini uscendone rapidamente e senza conseguenze.
Le novità riguarderebbero invece le posizioni del commercialista e della madre che sarebero indagati per omissioni e falsa testimonianza a proposito di dichiarazioni rese durante le indagini.
In particolare gli inquirenti sarebbero convinti che Nada avesse scoperto qualcosa, nell’ufficio, che doveva essere nascosto e sospettano che Soracco e sua madre non raccontino la verità a proposito del ruolo dell’attuale indagata che potrebbe essere stata vista o addirittura “scoperta” sul luogo del delitto prima di allontanarsi, vista da una testimone che non è mai stata identificata, vicino allo studio di Soracco e con i vestiti “sporchi”.
In particolare ci sarebbe una registrazione di una telefonata, una delle tante che infittiscono il mistero della morte di Nada Cella, nella quale la madre del commercialista ammetterebbe che le frequentazioni tra i due non erano “casuali” e “rare” come sempre sostenuto.
Un altro fronte delle indagini interessa l’orario di ingresso al lavoro dell’indagata, il giorno dell’omicidio.
La donna ha sempre sostenuto di essere stata nello studio di un dottore nell’orario indicato per l’omicidio ma il professionista non ricorda l’orario che verrebbe confermato – salvo prove contrarie – da un contratto che imponeva all’indagata di essere al lavoro alle 9.
Anche ammettendo che la donna fosse presso l’ufficio di Soracco all’ora del delitto, non avrebbe potuto raggiungere il posto di lavoro alle 9.
Un quadro composto da tanti piccoli pezzettini, quindi, quello che vuole l’indagata colpevole ma altrettanto delicato e difficile da confermare.
Tra una ventina di giorni sarà chiaro se gli inquirenti vorranno percorrere comunque la strada tortuosa del processo o se, invece, la nuova inchiesta vedrà uscire indenne, ancora una volta la donna che già una volta, 27 anni fa, era stata sospettata del delitto.