Genova – Botte chiamate in gergo “cioccolatini”, provocazioni sussurrate all’orecchio dei fermati per cercare di farli reagire ed avere una “scusa” per arrestarli o malmenarli e una chat chiamata “quei bravi ragazzi” che potrebbe inchiodare i 15 agenti indagati per abusi e soprusi ma anche gettare un’ombra sinistra sull’operato di altri agenti.
Si appesantiscono le posizioni dei 15 agenti della polizia locale di Genova indagati a seguito di una denuncia – rimasta inspiegabilmente senza seguito – presentata da due vigilesse stufe dei soprusi dei colleghi e che sarebbe stata inviata ai vertici della struttura avendo come unico “seguito” il trasferimento ad altro incarico delle persone che denunciarono.
Si fa ogni ora più complesso ed inquietante l’ambiente nel quale avrebbe operato una sorta di “squadra speciale” composta da agenti più inclini a violare la Legge che a farla rispettare e che, convinti di essere “intoccabili” avrebbe agito come autentici “giustizieri”. Circosanze tutte da confermare e che al momento sono solo ipotesi di accusa ma che – stando alle indiscrezioni che emergono dalla Procura – avrebbero trovato le prime conferme nelle denunce delle vittime dei pestaggi e dal confronto del contenuto di una chat riservata che “girava” sui cellulari dei “protagonisti”.
Una chat su cui indaga la Procura dopo aver ottenuto i telefoni cellulari delle due vigilesse che contengono tutti i testi e le immagini che “giravano” di cellulare in cellulare.
Per chi indaga una sorta di “memoriale” da confrontare con i riscontri investigativi come le denunce presentate dalle vittime dei pestaggi.
E così, a Capodanno, un cittadino di origini sudamericane risulta aver “chiesto di brindare” con gli agenti e aver ricevuto “molti cioccolatini” come – secondo le ipotesi investigative – venivano chiamate in chat le sberle e gli schiaffi.
La colpa della vittima essere un pò “brilla” la notte di Caponanno, in piazza De Ferrari, ed aver incontrato le persone sbagliate e che dietro una divisa nascondevano anime da picchiatore e giustiziere.
L’uomo avrebbe “brindato” a lungo con gli agenti che potrebbero avergli rotto un oggetto di vetro sulla testa se quanto scritto nella chat costituisce un resoconto di quanto avvenuto.
In altre occasioni il gruppo – nella chat risulterebbero iscritte ben 23 persone – avrebbe “sussurrato” all’orecchio dei fermati delle frasi provocatorie per cercare di scatenare una reazione che venina poi filmata con le bodycam per provare la necessità di un contenimento e di un arresto.
Frasi come “straniero di merda” o “fai denuncia” che avrebbero avuto lo scopo di esacerbare gli animi e spingere alla reazione il fermato.
Ma se le “imprese” dei “Bravi ragazzi” erano regolarmente riportate nella chat, nell’errata convinzione di non poter essere intercettati o scoperti, quelle stesse frasi, collegate a numeri di telefono identificabili, potrebbero trasformarsi nelle prove più dure contro i giustizieri perché “confrontabili” con quanto denunciato da alcune vittime.
Le indagini potrebbero quindi estendersi ad altri agenti e loro superiori che in diverse occasioni non sarebbero neppure stati presenti a blitz e sgomberi negli appartamenti occupati come invece prevede la normativa, a garanzia degli stessi agenti, dei fermati e dell’intero corpo della polizia locale che, se l’inchiesta confermerà i comportamenti sospettati, sarebbe il primo danneggiato dalla vicenda e dall’operato indegno del piccolo gruppo di agenti indagati.
Resta anche da capire perché la denuncia, presentata a quanto sembra dalle vigilesse ai vertici della polizia locale, sia stata segnalata alla procura solo successivamente e dopo il trasferimento delle vigilesse ad altro incarico, quasi una sorta di “rappresaglia” per aver rivelato un segreto inconfessabile.