Milano – La leucemia linfatica cronica è il tumore del sangue più diffuso nel mondo occidentale. Una ricerca del San Raffaele di Milano potrebbe aver trovato una possibile terapia per questa malattia, che colpisce ogni anno 10 persone ogni 100 mila, in particolare oltre i 60 anni di età. Secondo i ricercatori, a causare questo tipo di leucemia sarebbero in particolare i macrofagi, cellule del sistema immunitario con il compito di difendere l’organismo dalle infezioni. La terapia elaborata mira a colpire le interazioni tra le cellule leucemiche e il microambiente. “Bloccare queste interazioni – spiega Federico Caligaris-Cappio, direttore scientifico di Airc – solo in parte bersagliate dalle terapie convenzionali, rappresenta la chiave di volta per mettere a punto nuove terapie efficaci contro l’evoluzione del tumore”. Durante la prima parte dello studio (i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cell Reports) si è studiata la capacità dei macrofagi di sostenere la crescita delle cellule di leucemia linfatica cronica. “Abbiamo studiato lo sviluppo della leucemia in vari modelli sperimentali – spiega Maria Teresa Sabrina Bertilaccio, ricercatrice presso l’Irccs Ospedale San Raffaele – osservando che la malattia non progredisce o addirittura regredisce in assenza dei macrofagi”. La ricerca è stata finanziata dall’Associazione italiana per la ricerca contro il cancro (Airc).
“L’unicità dello studio – aggiunge Giovanni Galletti, dottorando dell’Università Vita-Salute San Raffaele e primo autore della pubblicazione – sta nel potenziale traslazionale e terapeutico dei risultati ottenuti, poiché farmaci diretti contro i macrofagi sono attualmente in fase di sperimentazione clinica”.
“L’eliminazione selettiva dei macrofagi – aggiunge Galletti – tramite l’inibizione della molecola CSF1R, presente sulla superficie di queste cellule, è in grado di migliorare la sopravvivenza in modelli sperimentali, senza causare effetti collaterali”.
“La nostra speranza – conclude la dott.ssa Bertilaccio – è che i pazienti affetti da malattie linfoproliferative possano beneficiare in futuro di questi nuovi approcci terapeutici”.