Genova – Una dieta chetogenica aiuta i pazienti affetti da Covid-19 nel processo di contrasto all’infiammazione diminuendo la mortalità l’utilizzo di ventilazione artificiale e il ricovero in terapia intensiva.
E’ il risultato dello studio condotto dal dottor Samir Giuseppe Sukkar e dal professor Matteo Bassetti, rispettivamente direttori della clinica Dietetica e Nutrizione Clinica e della Clinica di Malattie Infettive dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova e pubblicato sulla prestigiosa rivista statunitense “Nutrition”.
Lo studio ha dimostrato come la somministrazione di una dieta chetogenica (un regime alimentare a basso contenuto di carboidrati e alto contenuto di lipidi) in pazienti affetti da Coronavirus contribuisca alla riduzione della mortalità, dell’utilizzo di ventilazione artificiale e della necessità di ricovero in terapia intensiva di questi soggetti.
È stato infatti fino ad oggi osservato che nei pazienti affetti da Covid-19 caratterizzati da un quadro più grave, ricopre un ruolo determinante la cosiddetta ‘tempesta citochinica’, una risposta immunitaria esagerata messa in atto dall’organismo per difendersi dal virus. Tra i principali responsabili del rilascio di citochine, molecole implicate nel processo di infiammazione, vi sono i macrofagi M1, cellule che, quando si attivano, consumano esclusivamente glucosio.
Da qui l’efficacia di una dieta chetogenica che, prevedendo una notevole restrizione dell’assunzione dei carboidrati (o zuccheri), porterebbe ad una minore disponibilità di nutriente per i macrofagi M1, con conseguente controllo e limitazione della produzione di citochine, in grado di scatenare, se prodotte in quantità eccessive, la cosiddetta ‘tempesta citochinica’.
Lo studio, condotto tra febbraio e luglio 2020 su 102 pazienti Covid positivi afferenti al Policlinico, ha posto a confronto 34 persone che avevano seguito una dieta normocalorica, normoproteica chetogenica con 68 soggetti che avevano seguito, nello stesso periodo, una dieta comune, con risultati estremamente rilevanti sulla sopravvivenza a 30 giorni e sulla necessità di trasferimento in terapia intensiva. Entrambi i parametri sono infatti risultati minori nei pazienti sottoposti a dieta chetogenica.
“In questo studio, per la prima volta, consideriamo la nutrizione in una valenza non più di supporto ma anche terapeutica potendo contribuire fortemente a bloccare la grave complicanza del COVID-19 ovvero la tempesta citochinica, capace di contribuire al miglioramento della prognosi di pazienti affetti da Covid-19 – spiega Samir Giuseppe Sukkar, Direttore Dietetica e Nutrizione Clinica dell’Ospedale Policlinico San Martino – Inoltre, anche se all’esperienza recentemente pubblicata farà seguito uno studio randomizzato controllato multicentrico per ulteriori conferme, ritengo che, allo stato attuale, sia fortemente necessario prendere in considerazione la dieta chetogenica soprattutto in soggetti positivi in cura presso il proprio domicilio. Preciso che deve comunque trattarsi di un intervento molto precoce, in particolare nella prima settimana di malattia, perché essendo la dieta chetogenica basata sulla riduzione dell’attivazione delle cellule infiammatorie (macrofagi), non parrebbe avere un’efficacia terapeutica nel momento in cui l’infiammazione e la tempesta citochinica è già esplosa. In particolare, la dieta dovrebbe essere suggerita per i soggetti obesi, fortemente a rischio di complicanze da Covid-19. Ricordo – conclude – che la dieta non può e non deve essere un ‘fai da te’ e particolare attenzione deve essere posta nei soggetti diabetici, nefropatici e donne in gravidanza in quanto, pur trattandosi di una dieta normocalorica, la ridotta presenza di zuccheri potrebbe essere pericolosa per soggetti in terapia insulinica, ipoglicemizzante o nefropatici. Sempre chiedere al proprio medico se ci possono essere controindicazioni al suo utilizzo”.
Il direttore della Clinica Malattie Infettive Matteo Bassetti aggiunge: “La collaborazione con i colleghi dell’U.O. Nutrizione Clinica e l’attenzione alla dieta dei pazienti COVID+ denota l’importanza della multidisciplinarietà nella gestione e cura dei pazienti affetti da questa infezione. La multidisciplinarietà è stato uno dei capisaldi e dei punti di forza del lavoro medico, clinico e scientifico fatto sul COVID al Policlinico San Martino”.